Recovery, l'economista Azzurra Rinaldi: «Poche risorse sul lavoro femminile»

Recovery, l'economista Azzurra Rinaldi: «Poche risorse sul lavoro femminile»
di Raffaella Troili
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Mercoledì 25 Novembre 2020, 14:45 - Ultimo aggiornamento: 12 Maggio, 15:17

Professoressa Azzurra Rinaldi, economista dell’Università Unitelma Sapienza, tra le ideatrici del movimento “Il Giusto Mezzo”, c’è speranza che dal cilindro del Recovery Fund spunti un potenziamento del ruolo delle donne nel mondo del lavoro?

«Già sappiamo che i fondi europei così come sono adesso, sono iniqui per quanto riguarda le opportunità offerte alle donne».

Un peccato, visto il momento storico unico e la possibilità di usufruire dei finanziamenti.

«Sì, tantissimi: in arrivo 127 miliardi sotto forma di prestito e 82 miliardi a fondo perduto. Abbiamo fatto una valutazione di impatto di genere su questi fondi, su input dell’eurodeputata Alexandra Geese, verificando quanta parte andasse a beneficio della forza lavoro femminile».

Cosa è emerso?

«I soldi sono destinati a settori in cui sono occupati per lo più gli uomini, come infrastrutture, trasporti. Quando i campi colpiti da questa crisi attengono ai settori relazionali, turismo, commercio, servizi, dove ci sono più donne».

Perché, secondo lei?

«Un’antica miopia. Ma questa non è una crisi finanziaria normale, ma una crisi economica che nasce da una pandemia mai affrontata. La commissione europea sta mettendo in campo delle misure tradizionali per una crisi nuova e sconosciuta».

Pessimista dunque sul cambio di passo riservato alle donne?

«Se le cose rimangono così, abbiamo la certezza che le donne pagheranno il prezzo più alto. E questo avviene in un paese dove il 30% delle lavoratrici lascia il lavoro dopo il primo figlio per mancanza di servizi e l’80% dei congedi parentali è preso dalle donne. Queste persone che escono dal mercato del lavoro o si mettono in part time (il 75% del totale) intorno ai 30/35 anni, una volta che i figli sono cresciuti non possono rientrare nel mondo del lavoro. E le pensioni degli uomini sono il 36% più alte».

Sul primo piano presentato il 19 ottobre alla Commissione europea avete potuto agire?

«Si è cercato di suggerire al governo di elaborare un piano seguendo le due linee previste dalla Commissione europea, transizione digitale e transizione verde, aggiungendo la linea dell’economia della cura.

La sola via di salvezza, con i dati che abbiamo e sapendo che oramai l’Istat ci definisce nell’inverno demografico. Abbiamo tanti anziani da accudire e pochi figli. Ma se il Paese non fa figli muore. Per spingere le famiglie a fare figli e contemporaneamente ad accudire gli anziani c’è bisogno di uno Stato sociale: servizi, come asili nido, tempo pieno a scuola e anche per gli anziani. Altrimenti questi servizi sono coperti dalle donne della famiglia».

Da qui il suggerimento “la linea della cura”.

«Le italiane si fanno carico del lavoro di cura non retribuito, con una serie di effetti negativi sull’efficienza complessiva del sistema economico italiano. Perché una persona che potrebbe lavorare e produrre ricchezza, Pil, non lo fa. Perché parte di questo Pil andrebbe allo Stato sotto forma di gettito fiscale. Per banalizzare, perché tutti saremmo più ricchi. Da qui l’indicazione di aggiungere questo terzo pilastro dell’economia della cura. Il governo nel piano parla genericamente di interventi sociali».

E le misure nazionali?

«La legge di bilancio, ma per le donne non c’è moltissimo. Un assegno unico per i figli, che poi sarebbero delle famiglie, fino a 200 euro al mese fino ai 18 anni, il bonus bebè per il primo anno di vita. E 400 milioni in sgravi fiscali per le imprese che nei prossimi 2 anni assumono donne, altri 40 milioni, poco, per l’imprenditoria femminile. Si può fare di più. Mai come ora c’è consapevolezza del peso produttivo delle donne nelle aziende e di quanto perdiamo in termini di efficienza economica con la diseguaglianza di genere».

Un cambio di passo, investire nell’attività di cura.

«Occorre una valutazione di impatto di genere su tutte le voci di spesa che prevedano soldi pubblici in Italia, ora obbligatoria ex ante ma non ex post. Con il Giusto mezzo abbiamo mandato una lettera al presidente del consiglio in cui si chiede che i fondi vengano usati anche in una prospettiva di genere. Abbiamo raccolto finora 46mila firme». Il contatto con il Governo è avviato. «Stiamo analizzando tutte le misure della legge di bilancio, non siamo contente, se il piano nazionale italiano non viene declinato a favore della forza lavoro femminile sappiamo già che a pagare il prezzo della crisi saranno le donne».

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