Alèxia Putellas è per la Uefa la migliore calciatrice 2020 e adesso anche Pallone d'Oro: 27 anni, capitana del F.C. Barcelona e della nazionale spagnola, lo scorso anno ha vinto con la sua squadra la Liga, la Copa de la Reina e la Champions. Gioca nel Barça dal 2012, dopo essere passata per il Sabadell, l’Espanyol e il Levante. Alle calciatrici dell’Osasuna B., recentemente oggetto di insulti sessisti, Putellas ha espresso la sua solidarietà: «Tutti dovremmo fare ciò che è nelle nostre mani perché non succeda più, né nello sport né in nessun altro luogo».
Centrocampista e ala del Barça, attaccante della nazionale, miglior calciatrice del 2020: come si arriva a questo traguardo?
«Non è qualcosa che si ottenga da un giorno all’altro. Bisogna lavorare ogni giorno, migliorare sempre di più, i riconoscimenti sono solo una conseguenza».
Perché ha deciso di fare la calciatrice?
«È una passione che ho fin da quando avevo sei anni. Mi è sempre piaciuto giocare a calcio, era la mia priorità se dovevo scegliere tra diversi sport».
Come la guardavano gli altri?
«Quando cominci a crescere, iniziano a guardarti un po’ male. Ma quando ero piccola i bambini la prendevano come una cosa naturale: “l’Alèxia che gioca con noi” e niente di più. Quando avevo 17 anni c’era gente che non sapeva che questa professione fosse anche per le donne».
Fino al 2017 vestivate come i maschi e non avevate il nome sulla maglia.
«Era una questione di tempo. Fisicamente una calciatrice è diversa da un calciatore, perciò anche la divisa doveva adattarsi prima o poi. Sono cose che sono andate cambiando col tempo, rendendo la professione della calciatrice più normale e ora ci sentiamo più a nostro agio».
È stata oggetto di insulti maschilisti?
«Mi sono arrivati una serie di commenti sulle reti social, anche ora che sono più conosciuta, tipo “torna in cucina”. Ma quello dei social è un mondo così fuori controllo, non sai mai chi c’è dietro».
Nel 2020 fu firmato il primo contratto collettivo delle calciatrici spagnole.
«È un contratto di minimi che andrebbe riaggiornato. Il negoziato fu molto lungo perché era un tema nuovo. C’è ancora chi considera questa professione come un’attività amatoriale ed è proprio questa concezione che va cambiata».
E la questione della professionalizzazione della Liga femminile?
«È un po’ la stessa cosa. Ci sono molti club, istituzioni che hanno questa concezione amatoriale del calcio femminile e questo non aiuta. Poi ci sono altre questioni legate agli interessi dei Club, della Federazione, del governo. Perciò non abbiamo ancora una Liga professionale».
Vi sentite sostenute dal vostro Club?
«La scommessa del Club sul calcio femminile è ferma e sento che veniamo trattate sempre più solo come calciatrici».
Il gap salariale con i colleghi maschi è altissimo: il premio Uefa per la Champions femminile è di 460.000 euro, per quella maschile arriva agli 80 milioni di euro. Come si corregge questa situazione?
«Si tratta di una questione che va risolta avanzando nel progetto. Il premio per la Champions viene da varie entrate, dai patrocinatori e dai diritti televisivi, bisogna fare in modo che tutto questo cominci a crescere per fare aumentare il compenso economico. I ragazzi fanno questo mestiere da molto tempo e i diritti televisivi costano molto. Dobbiamo giocare ancora meglio, perché la gente si senta sempre più attratta dal calcio femminile: ciò farà che i diritti televisivi crescano e aumentino le entrate».
Quanto conta la visibilità televisiva?
«È importantissima. Quando c’è una partita di calcio maschile viene sempre annunciata un paio di settimane prima e tutti sanno quando giocano. Di noi, si sa quando giochiamo appena tre giorni prima. Sono cose che vanno cambiate».
Com’è la situazione nel resto d’Europa?
«Il campionato migliore è quello inglese, molto ben strutturato. Rappresenta un esempio cui riferirsi».
Che relazione avete con i colleghi uomini?
«Quando ci siamo incontrati per il contratto che non si riusciva a sbloccare, ci dissero che se ne avessimo avuto bisogno ci avrebbero dato una mano. Il loro è sempre stato un comportamento rispettoso».
Quali sono i suoi prossimi traguardi?
«Per quest’anno tornare a vincere di nuovo tutti i titoli col Barça, d’estate abbiamo il campionato europeo di calcio femminile».
Da quando avete vinto il triplete voi calciatrici siete diventate un riferimento per le bambine.
«Tutto questo ci consegna molta responsabilità, ma credo che sia una responsabilità di tutte le donne quella di lasciare alla generazione successiva più opportunità di eguaglianza. Certo, quando hai più successo e finisci più spesso in televisione perché vinci, allora le bambine ti vedono come un punto di riferimento, perché sognano di poterci arrivare anche loro».
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