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La chef Isabella Potì: «La natura del Salento, imiei gatti, un team e la stella Michelin. La felicità è una scelta di ogni giorno»

La chef Isabella Potì: «La natura del Salento, imiei gatti, un team e la stella Michelin. La felicità è una scelta di ogni giorno»
La chef Isabella Potì: «La natura del Salento, imiei gatti, un team e la stella Michelin. La felicità è una scelta di ogni giorno»

Isabella Potì, con i suoi 25 anni da festeggiare nel giorno di Santo Stefano che raccontano bellezza, bravura e successo on e offline, è la risposta, sintonizzata sui valori dei tempi che sono, al quesito “Cos’è la felicità?”. È nel suo paradiso di gatti e verde salentino alle porte di Scorrano – piccolo comune dove lei e il suo compagno Floriano Pellegrino hanno fatto gemmare la visionarietà di Bros’ nella trattoria Roots – – e lì si scopre che quel suo stato di evidente beatitudine non origina dal riconoscimento universale del suo talento di giudice televisiva (Il ristorante degli chef su Rai2) e protagonista dei millennial. Né dal successo del suo primo libro Millenial cooking (RaiLibri) un concentrato di velocità e di saperi diversi per chi come lei ha lavorato giovanissima a Londra, Copenaghen, San Sebastian, Ibiza e Mentone prima di approdare a Lecce dove ha conquistato la prima stella Michelin. No, Isabella Potì mostra una felicità serena e composta, inattesa e insospettata, a confronto con l’immagine scatenata che ammalia i follower su Tik Tok (12.900) e Instagram (85.400).

Secondo lei: felicità è?

«Stare qui con i miei gatti – Marshmallow, Puccia, Mantequilla – sapendo che la gente fa la fila per venire qui a provare i nostri piatti».

Non solo foodlovers: anche i vostri coetanei sgomitano per venire a lavorare qui dove il team cucina-sala parla il giapponese di Yuta, il francese di Mustafà dal Senegal e via elencando.

«Ci scrivono in tanti, molti giovanissimi, sottoponendosi anche a test di compatibilità con la nostra filosofia. Questa è la mia felicità: lavoro in team, semplicità, routine quotidiana, quella che mi manca quando gli spostamenti si accavallano. Qui, dove tra due anni trasferiremo anche “Bros’”, c’è un’aria differente: le verdure del nostro orto, le chiacchiere con Angelo il fruttivendolo e Ada della ricotta…. Qui, insomma, siamo connessi in contemporanea con il mondo e la natura, per me importantissima».

È stata una bambina felice?

«Direi proprio di sì, pur tra mille difficoltà. Mio padre è salentino, mia madre polacca, sono nata a a Roma, ma passavo l’estate dove vivono i miei ora, in Polonia, in un paesino di 2mila abitanti, in una riserva naturale con le casette di legno e le foreste. C’era il gatto Chiupy, la falegnameria del nonno, gli alberi da frutto e la campagna aperta, le foreste e i cervi… e anche lì sognavo di cucinare. E lo facevo anche, salendo su una sedia per arrivare ai fornelli».

E a un certo punto è arrivata la Stella Michelin per “Bros’”, in pochissimo tempo. Felicità da uno a dieci?

«Uhhh, moltissima perché c’è stato tanto lavoro per averla, per ottenere quello standard. E non nascondo che speriamo di raggiungere quanto prima una felicità ancora maggiore, in questo senso. Ma c’è tempo».

Cos’è la felicità a tavola? “Un bicchiere di vino con un panino”, giusto per non citare una nota canzone al riguardo, o una delle alchimie gastro-pirotecniche firmate Bros’?

«Può essere entrambe le cose, anche perché non si può mangiare da Bros’ tutti i giorni… È un’esperienza da fare una volta ogni tanto. E poi c’è la quotidianità, invece, e torno a me qui: svegliarsi la mattina, mettersi in tuta, i dolcetti della colazione, giocare con i cani di casa e i gatti di qua, lavorare al computer con il tepore del forno a legna. Me la godo, insomma. Poi ci sono i giorni di lavoro a Lecce e i viaggi all’estero per fare nuove esperienze».

Un modo di essere, la felicità, o questione di attimi?

«Secondo è una scelta di ogni giorno. L’ho imparato dai miei: avevamo ben poco, ma eravamo sempre allegri. E sapevano in qualche modo che avrei costruito qualcosa. E sono arrivati i Pellegrino: compagna di Giovanni all’Alberghiero di Lecce, poi Francesco e la storia con Floriano. Una grande famiglia e una piccola gang, donde il nome: “bros”. Fratelli».

Si sente arrivata, oggi?

«Per nulla, perché non do molto peso alla fama. Ma le buone notizie sono molte: presto, per dirne una, apriremo una pasticceria non “fisica”. Non dico di più».

Del panorama composito della sua felicità fanno parte anche i gatti e il rugby.

«Gli animali sono magici: non abbandonateli, fate un danno a loro e a voi stessi. Il rugby ho iniziato a praticarlo con Flo’ e adesso cominciano i lavori allo stadio di Trepuzzi, messo a disposizione per questo progetto. Abbiamo anche un grande coach, un ex giocatore sudafricano, e presto daremo qualcosa da fare a molti ragazzi che hanno avuto poco dalla vita».

In quest’apoteosi di cose belle, cosa manca?

«La mia famiglia allargata».

E una tutta sua? Avevate annunciato il matrimonio.

«Appena passa questo periodo. Tre figli: Leonardo, Valentina ed Elisabetta, come mia mamma».

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La chef stellata Isabella Potì: «Dalla pitta al soufflé: ecco tre ricette per le Feste»

La chef stellata Isabella Potì: «Dalla pitta al soufflé: ecco tre ricette per le Feste»
La chef stellata Isabella Potì: «Dalla pitta al soufflé: ecco tre ricette per le Feste»

Un menu contaminato dal sole cocente e dalle tradizioni rustiche e sincere del Salento Per un viaggio nel gusto lontano dai sofismi culinari delle Feste e vicino alle esigenze basiche dei foodlovers più giovani. Ecco tre ricette della chef stellata Isabella Potì.

Pitta di patate

Per le cipolle in pignata

Ingredienti: 3 cipolle bianche in pignatta 2 cucchiai passata pomodoro 15g sale 20g olio semi 20g olio EVO 4 foglie alloro

Inserire nella pignata l’olio di semi sul fondo, nel mentre tagliare la cipolla a julienne fine e metterla nella pignata; inserire anche l’alloro precedentemente lavato e asciugato, il sale, il pomodoro e in fine l’olio evo. Dare una mescolata e coprire con il tappo. Infornare a 180°C in forno a legna o forno ventilato a 170°C e far cuocere per 3/4 ore girando sempre.

Per la pitta

Ingredienti: 400g patate lesse 20g farina grano fine 10g pane grattugiato 8g sale 2 uova 5 foglie menta tritata 30g pecorino grattugiato 200g cipolla in pignatta

Mettere in una bowl le patate lesse schiacciate, unire alle patate la farina, il pan grattato, il sale e la menta. Amalgamare tutto e aggiungere il pecorino e le uova. Creare un impasto liscio e lasciar riposare per 5 o 10 minuti. Adagiare metà dell’impasto in una pirofila oliata, creando uno strato uniforme sul fondo. Sopra questo strato d’impasto mettere la cipolla in pignata levando le foglie di alloro. Ricoprire il tutto con l’altra metà di impasto creando un altro strato uniforme, attaccando l’impasto anche ai bordi della pirofila, sigillando così la cipolla all’interno.

Maiale arrosto

Per il maiale

Ingredienti: 1 kg di lombata di maiale intera 1 mazzo di rosmarino 1 rametto di alloro fresco 6 spicchi di aglio pepe nero macinato sale grosso olio EVO sale maldon

Pulire la lombata di maiale lasciando l’osso attaccato. Schiacciare l’aglio in camicia ed unire agli aromi. Massaggiare la lombata con olio, sale, pepe e aromi. Lasciarlo marinare per circa 2 ore. Rosolare a fuoco vivo la lombata da tutti i lati con l’aiuto di una piastra di ghisa. Infornare a circa 220°C con tutti gli aromi su teglia di ferro in forno ventilato per circa 20 minuti. Ritirare dal fuoco, controllare la consistenza con la mano, girare e lasciar cuocere per altri 20 minuti circa. Ritirare dal fuoco e far riposare su griglia per circa 15 minuti in caldo. Rimuovere dall’osso la lombata intera e tagliare a fette da circa 1 centimetro. All’interno dovrà essere roseo e succoso. Servire con un filo d’olio EVO e sale maldon.

Per le patate al forno

Ingredienti: 500 g patate Nicola 2,5 lt acqua 50 g olio EVO sale fino pepe nero macinato 1 rametto di rosmarino Lavare molto bene le patate e tagliarle a spicchi con tutta la buccia. Lessarle in acqua bollente fino a che i bordi inizieranno a sfaldarsi leggermente. Colarle e lasciarle freddare. Condire con gli aromi, il sale e l’olio. Mettere in teglia di ferro facendo attenzione a non accavallarle una all’altra. Infornare per circa 25-30 minuti a 200°C in forno ventilato. Servire calde in una piatto da servizio a parte.

Soufflé al cioccolato

Base

Ingredienti: – 250 ml di latte di soia – 25 g di zucchero – 3 tuorli d’uovo – 15 g di maizena – 150 g cioccolato 80% – 1 baccello di vaniglia

Far bollire il latte con la vaniglia, a parte unire i tuorli con lo zucchero, aggiungere poi la maizena, versare parte del latte nel composto di tuorli; mescolare bene e riversare il tutto nel latte. Far bollire per pochi minuti mescolando continuamente fino ad ottenere una consistenza liscia. Una volta raggiunti i 60° C, aggiungere il cioccolato in fave e sciogliere amalgamando.

Soufflé Ingredienti: – 50 g di base – 50 g di albume – 15 g di zucchero – spennellare con olio di semi di girasole – zucchero.

Montare gli albumi con 1/3 di zucchero alla volta fino ad ottenere delle punte morbide; amalgamare, sempre 1/3 alla volta, l’albume alla base con molta delicatezza; versare in uno stampino per soufflé precedentemente spennellato con olio di semi e zuccherato. Cuocere a 200° C per circa 8 minuti. Servire immediatamente.

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La direttrice d’orchestra Speranza Cappucci: «Per Capodanno gli auguri di Mozart “Soave sia il vento”…»

La direttrice d'orchestra Speranza Cappucci: «Per Capodanno gli auguri di Mozart
La direttrice d'orchestra Speranza Cappucci: «Per Capodanno gli auguri di Mozart "Soave sia il vento"...»

«Soave sia il vento. Tranquilla sia l’onda. Ed ogni elemento, benigno risponda, ai nostri desir… Se mai dovessi inventare un concerto di Capodanno tutto mio per salutare questo terribile 2020, chiederei a Mozart di farci gli auguri per un migliore 2021, con il trio del Così fan tutte, inondato di luce e di speranza».

Parola di Speranza Scappucci. Direttore d’orchestra («Direttrice!»), 47 anni, single («La nostra è una vita bella e complicata»), romana, ma quando è in città vive in albergo perché le sue case ora sono New York e Vienna. E i teatri di tutto il mondo. L’Opéra Royal de Wallonie, a Liegi, di cui è direttore musicale, il Gran Teatre del Liceu di Barcellona dove sta dirigendo Traviata («nei momenti di pausa vado al mare ad ascoltare i gabbiani»), il New National Theatre di Tokyo dove è attesa per Lucia di Lammermoor ad aprile o l’Arena di Verona, quest’estate, San Francisco, Toulose, Teatro dell’Opera di Roma e di Vienna dove è stata la prima italiana a guidare l’orchestra dell’Opera della città.

Pochissime le donne sul podio. Perché?

«Non sono una mosca bianca. Il mondo è pieno di donne musiciste. E non mi piace affrontare il discorso in termini di genere. Credo nella parità assoluta che è quella della dedizione e del talento».

Ce ne saranno tante brave, ma la bacchetta è ancora molto maschile. O no?

«Il discorso va affrontato a monte. Fino a qualche anno fa le musiciste neanche ci pensavano a mettere il piede sul podio. Ma oggi non ha senso guardare indietro perché è in arrivo una nuova generazione formidabile. Bisogna aspettare il ricambio. La nuova onda, quella delle musiciste che si stanno formando oggi. Lasciamole studiare e ci sorprenderanno».

Lo studio. Diploma in pianoforte all’Accademia di Santa Cecilia e poi New York, master alla Juilliard School. La svolta?

«Un mio insegnante a New York che mi disse: continua pure a suonare il piano, a fare le tue esperienze. Ma tu sei nata per stare on the stage, sotto i riflettori».

Quindici anni come maestro collaboratore accanto a direttori come Mehta, Ozawa, Gatti, Levine e l’incontro con Muti nel 2005 che la portò con sé al festival di Salisburgo. Poi i riflettori tutti per lei: oltre la bacchetta cosa porta sul podio?

«È la professione che ti dà sicurezza. E alimenta la forza interiore».

Boccoli rossi, pelle chiara, come si prepara per affrontare il pubblico?

«I capelli li devo legare, perché se mi finiscono sul leggio come faccio. Non mi piacciono le scollature, mi sento a mio agio in tailleur nero. Le gonne? Finora mai, però chissà?».

Un vezzo?

«Dirigo con le ballerine e poi mi infilo le scarpe con i tacchi per salire sul palco a prendere gli applausi».

In questi giorni dirige Traviata: quale eroina della lirica la colpisce di più?

«Traviata mi piace molto. Una donna vincente che vuole vivere anche se ha il destino segnato. Mi immedesimo in tutte, ma Cio-Cio-San mi spezza il cuore. Ogni volta che affronto Madama Butterfly finisco in lacrime».

Natale a Barcellona, al lavoro. Capodanno?

«Dovrei tornare a Vienna. Avevo i biglietti per il concerto. Poi quest’anno c’è il Maestro Muti. Lo vedrò da casa. Che non è la stessa cosa. Lo streaming interrompe l’energia che passa tra noi e il pubblico».

E se dovesse dirigere lei un suo concerto di Capodanno che musica sceglierebbe?

«Non si potrebbe non tenere conto dell’anno difficile e doloroso che ci lasciamo alle spalle. Tra un brano e l’altro di tradizione, non farei mancare il finale della sinfonia Eroica di Beethoven, per omaggiare il compositore e tutti gli eroi di questa pandemia, e il coro del Fidelio che è un inno alla libertà e alla rinascita. E per chiudere un messaggio di speranza e di pace con il trio del Così fan tutte di Mozart».

E una musica per brindare a casa, con amici?

«Non ascolto mai musica. Giuro che è vero. Solo in macchina. Per Capodanno farei un eccezione: Billie Holiday, Fabrizio De André, Gianna Nannini, Frank Sinatra».

Ci saranno donne a dirigere il concerto di Capodanno?

«C’è un esercito di giovani musiciste, brave e coraggiose alle porte».

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Capodanno, noi che siamo cresciuti davanti alla tv guardando con il concerto di Vienna

Capodanno, noi che siamo cresciuti davanti alla tv guardando con il concerto di Vienna
Capodanno, noi che siamo cresciuti davanti alla tv guardando con il concerto di Vienna

C’era sempre lui nella televisione in bianco e nero della nostra infanzia: inondava la casa del primo dell’anno, ancora imbambolata dai botti di San Silvestro, con le polke, i galop e i valzer della famiglia Strauss, viatico gioioso verso il futuro. Eterno Boskovsky, per 25 anni sul podio della meravigliosa Musikverein di Vienna, velluti rossi e stucchi dorati. I Wiener Philarmoniker lanciavano messaggi e auguri al mondo, e noi lì a crescere tra i volteggi di coppie fruscianti a Schönbrunn (finalmente a colori!), l’esibizione dei cavalli lipizzani e il battimani sulla Marcia di Radetzky, divertiti e mai neanche lontanamente sfiorati dal fatto che sia una marcia di conquista contro gli italiani risorgimentali. Niente politically correct: ci abbagliava lo sfarzo e l’allegria dei direttori d’orchestra che indossavano cappellini, fischietti, inscenando gag con pubblico e orchestrali, come l’austriaco Welser-Möst che per il secondo bis impugnò un mestolo e si mise un cappello da chef. A Vienna il gotha dei direttori d’orchestra: Abbado, Kleiber, Maazel, Pretre, Muti.

E il grande Karajan, un evento nel 1987, a casa un religioso silenzio, il maestro dolorante alla schiena ma perfetto e accessibile a tutti. Vent’anni dopo, l’impensabile: biglietti un anno prima a una cifra esorbitante per conquistare il puro incanto, seduti sulla balconata laterale ma con Pretre e l’orchestra a un passo. All’improvviso persino i ballerini che sbucavano in platea sulle note di Sul bel Danubio blu. Ora la magia si ripete: Muti sul podio – ha già detto niente gag – e noi di nuovo davanti allo schermo. Perché nonostante la Rai abbia cancellato la diretta da Vienna a favore della Fenice, nulla è come il tradizionale concerto di Capodanno dei Wiener. Nulla ci consola come quella nostalgia e quella promessa di un futuro migliore. Che magari porti anche una donna a muovere la bacchetta sul podio che fu di Boskovsky. Sarebbe ora, la prima dopo 81 anni di storia.

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Chiara Corazza: «She-Covery, la nostra sfida per un G20 più inclusivo»

Chiara Corazza: «She-Covery, la nostra sfida per un G20 più inclusivo»
Chiara Corazza: «She-Covery, la nostra sfida per un G20 più inclusivo»

L’Italia prenderà la guida del G20 il prossimo anno, in un momento straordinario, di grande responsabilità storica, dopo una crisi sanitaria, economica e sociale inedita. Si tratta di un’opportunità per diventare “pioniera” di un nuovo modo di decidere, per ricostruire il mondo di domani e delineare una crescita diversa. Noi come Women’s Forum abbiamo lanciato “She-Covery”, una proposta ambiziosa per «ripartire» con le donne nel ruolo di leader, accanto agli uomini. È un cambiamento di paradigma, per il quale le donne non soltanto devono essere presenti ai tavoli in cui si disegna il futuro, per ricominciare in modo diverso, ma avere un ruolo decisionale. Non si tratta di «spartirsi una torta» e prenderne la metà: questa volta sono le donne a poter scegliere quali ingredienti mettere. Ed è per questo che il G20 in Italia dovrà essere rivoluzionario e lungimirante, perché il mondo va cambiato senza indugi, ma con una visione a lungo termine. Non è immaginabile che le donne non possano incidere sulle tre priorità centrali del prossimo vertice: people, planet, prosperity, popolazione pianeta e crescita.

Quali sono le priorità per noi? Acquisire le stesse competenze degli uomini per poter assumere ruoli decisionali nelle attività del futuro, in quella “rivoluzione del lavoro” alla quale assisteremo nei prossimi 10 anni, con cambiamenti nell’85% dei mestieri che ancora non conosciamo. Sappiamo, però, che saranno legati al digitale, alla matematica, alla tecnologia mentre, nel mondo, abbiamo solo il 24% di donne attive in questi campi, i cosiddetti settori Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics). Ed è chiaro che solo conquistando forti competenze digitali che le donne potranno essere pronte a «gestire il futuro».

Tra i paesi del G7 l’Italia è leader: l’Ocse evidenzia un 31% di donne impegnate nelle professioni Stem e il 40% di giovani diplomate in queste materie, il dato migliore in Europa. Per questo l’Italia al G20 può promuovere con determinazione un’alleanza coraggiosa (e ambiziosa) fra politica ed economia per ridurre il gap fra uomini e donne nel mondo del lavoro nei prossimi anni. Una sfida enorme, con implicazioni anche etiche. Ad esempio, se gli algoritmi per il riconoscimento facciale continueranno ad essere disegnati solo da ingegneri bianchi, si perpetueranno non solo errori ma anche pregiudizi: basti pensare che ancora non si riesce ad ottenere il riconoscimento facciale per le donne di colore, si sbaglia nel 35% di casi. Nel campo dell’intelligenza artificiale oggi le donne rappresentano solo il 22% del totale. E, anche su questo fronte l’Italia ha un primato positivo, con il 17% delle donne impegnate nel cloud computing, contro il 14% degli Usa e 8% della Germania.

Altra sfida epocale è il cambiamento climatico. L’impatto sulla nostra vita è molto forte, l’80% dei rifugiati ambientali sono donne, con una mortalità di 14 volte superiore a quella degli uomini. E ancora, le donne sono escluse dalle decisioni economiche tenuto conto che l’80% delle decisioni sugli acquisti è preso da loro. Ecco allora l’urgenza di metterle al cuore di questa transizione ecologica ed anche social. La terza priorità è la crescita. Nel mondo il 52% delle donne lavora, ma produce solo il 34% del Pil. Si calcola che da qui al 2025 si potrebbero creare 240 milioni di posti di lavoro nuovi se ci fossero più donne attive nei vari ambiti economici. Purtroppo siamo ancora lontani dal traguardo: le donne non hanno lo stesso accesso degli uomini al capitale. Le aziende al femminile sono 242 milioni, più del 35%, ma possono accedere a meno dell’1 per cento di appalti pubblici e privati. Una gravissima perdita in termini di crescita economica, oltre che una grave ingiustizia. Il G20 deve rappresentare, anche da questo punto di vista, un’occasione per dare alle donne le stesse possibilità, facendole concorrere ad «armi pari» negli appalti pubblici e privati. L’anno prossimo in Italia organizzeremo un’edizione speciale del Women’s Forum, sarà una call action rivolta ai leader del G20. Eserciteremo tutta la nostra pressione, con determinazione, affinché si adottino le misure necessarie per ripartire in modo nuovo. Dopo l’ultima guerra abbiamo avuto il piano Marshall per la ricostruzione, adesso vorremo che ci fosse un piano Ursula o Christine oppure Kamala.

(direttrice generale del Women’s Forum for the Economy & Society) 

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Il finto femminista fa mille promesse e poi ciaone, la giunta rosa non c’è

Mille promesse e poi ciaone, la giunta rosa non c'è
Mille promesse e poi ciaone, la giunta rosa non c'è

Vorrei un gineceo con dentro un solo maschio, io, anche se mi scuso di esserlo e pur non sentendomi femmina sono arci-femminista. Così ragiona il politico e l’amministratore pubblico, che vuole mostrarsi tanto à la page e tutto dalla parte delle donne. Non gli bastano le quote rosa. Aspira a qualcosa di più e di meglio: alla pienezza rappresentativa del pink power, a un mondo tutto femmina. E se proprio dev’esserci – ma uffa! ma perché poi!? – un maschio nel proprio gineceo, ossia nel suo governo o nella sua giunta regionale, si mascheri questo intruso almeno da signorina come Jack Lemmon che diventa Daphne o Tony Curtis che si maschera da Josephine in «A qualcuno piace caldo». E comunque: prendiamo come esempio un aspirante presidente regionale o sindaco del nostro Sud. Promette prima di venire eletto e subito dopo: la metà dei miei assessori sarà donna. Tutti gli credono o fingono di credergli. Qualcuno avanza timidamente qualche dubbio, prova a non fidarsi ma viene rassicurato: metà donne? e certo! Fosse per me, assicura il maschione femministizzato, metterei solo donne perché governano meglio e ascoltano di più… Infatti poi fa la giunta e si fa la conta.

GLI ASSESSORI

Quanto è la metà di otto (assessori)? È quattro. E quante donne entrano in quello che doveva essere un gineceo? Soltanto due. E ciao ciao. Ecco insomma il Maschio Ciaone. Quello che in politica, ma anche nel resto della vita e nelle altre attività, promette chissà quale rivoluzione di genere, lancia appelli roboanti («Donne, fatevi sentire, valete più di noi!!!»). Si batte i pugni sul petto per essere stato troppo maschio per troppa parte della propria esistenza (come facevo a non capire…) ma adesso giura di volersi emendare appena si creerà la nuova task force (a proposito: nel Comitato Tecnico Scientifico che sovrintende alla lotta governativa contro il Covid tra tanti sapienti donne zero). E tutto ammiccante e provocante, questo eroe della parità e del sacrosanto riequilibrio si rivolge così alle colleghe meritevoli di essere prese sul serio: io vi salverò. Invece, è un Maschio Ciaone, tutto chiacchiere e distintivo, pronto a rifilare la fregatura. Ma ti ci porta con mano. Suggerisce – anzi afferma o meglio: io pretendo! – che nei concorsi una bella parte venga riservata alle donne. Idem nei consigli di amministrazione. Ma poi tocca ingaggiare una lotta all’ultimo sangue, per farci entrare quando va bene due donne o tre, tra spaesamenti e mal di pancia (non saranno troppe?) e lui di rado partecipa alla battaglia. S’è imboscato il falso femminista. Magari è scappato in Arabia Saudita: lì sì che si sta meglio. E ciaone!

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Antonella Polimeni, prima rettrice eletta alla Sapienza dopo 717 anni: «Il gender gap si combatte all'Università»

«Pensate al futuro che vi aspetta, pensate a quello che potete fare, e non temete niente». Così scriveva Rita Levi Montalcini. Il contesto universitario del Paese deve rappresentare un luogo privilegiato dove sostenere le questioni relative alla parità di genere. La disuguaglianza di genere determina la mancata valorizzazione dei talenti, del sapere, della ricerca. Per contrastare la perdita di talenti è necessario parlare alle giovani ancor prima che arrivino nelle aule universitarie. Bisogna potenziare l’orientamento finalizzandolo ad una maggiore apertura critica e offrire pari opportunità di scelta a prescindere dagli stereotipi cristallizzati. È necessario sostenere chi fa ricerca e introdurre politiche specifiche (sostegno, conciliazione lavoro-famiglia, reclutamento) per diminuire il gender-gap e abbattere gli ostacoli che impediscono il raggiungimento della parità. Creare un ambiente di formazione e lavoro inclusivo permette di accrescere il benessere di tutte e di tutti, consentendo ad ogni persona di esprimere al meglio le proprie qualità e professionalità, contribuendo così al miglioramento del rendimento e della performance dell’Università nel suo complesso.

Antonella Polimeni

Rettrice Università di Roma Sapienza eletta per il sessennio 2020/2026

Grida «Viva il #Metoo» ma pensa solo a sedurre: ecco a voi il finto femminista

Grida «Viva il #Metoo» ma pensa solo a sedurre: ecco a voi il finto femminista
Grida «Viva il #Metoo» ma pensa solo a sedurre: ecco a voi il finto femminista

Che fatica, ma vale la pena. Che stress, ma per una buona causa. Quella delle donne? No, la causa dei falsi femministi. Sono una categoria variegata e dilagante. Popolata di maschi che giocano a stare dalle parte delle donne, per neutralizzarle meglio e conquistarne di più. Chi dev’essere capo del governo? Una donna, ovvio! A chi spetta il Quirinale? A una donna, finalmente! E gli altri posti che contano? Io sono per il pink power, dice il tipico maschio che si autodipinge pubblicamente in rosa. Ma appena volta la testa, ritorna quello che: uffa, queste donne… Insomma, c’è il franco dominator e il subdolo amico dell’altro sesso detto anche, romanescamente, “il sorcio”. Maschilista anche lui – o meglio insofferente alla parità di genere – ma guai darlo a vedere. Anzi sempre pronto a proclamare: che donne, le donne! Anche se continuano a immaginarle più che altro come prede.

IL POST GIOVANE

Tra le tipologie di questa simpatica razza c’è quella del post-giovane sulla quarantina, progressista e politicamente corretto, ben piazzato in società magari con un incarico pubblico di prestigio (ne ho in mente uno, in particolare), che esercita professionalmente il suo mestiere di amico delle donne – Ahhh, quanto sono più sensibili di noi… Ohhh, come sanno esercitare il potere in maniera più equilibrata di noialtri ometti al crepuscolo… – e poi però fuori dai riflettori e dai salotti sono i soliti Maschi Alfa. Vivono di diseguaglianze, godono delle diseguaglianze, e amano amare e farsi amare per quello che sono. Il politicamente corretto che veste e copre questo tipo di amico delle donne è un mantello così posticcio che stenta a trarre in inganno l’altro sesso, almeno nel caso in cui si sa guardare sotto le false apparenze, ma ci prova lo stesso. Spinto dallo spirito del tempo che, a parole, è tutto dalla parte delle donne.

FINZIONI

Se si è un politico importante, poi, questo doppiopesismo è d’obbligo, questa doppia faccia tra pubblico e privato è necessaria perché giova sia di là che di qua. Ma gratta gratta, tra l’amico delle donne e il solito macho alla fine nella realtà prevale di gran lunga il secondo. Perché è più facile essere quel che si è, piuttosto che fingere faticosamente in un format che è solo di comodo e di moda. Non sarebbe però più utile uscire dalle finzioni del politicamente corretto, per parlarsi apertamente tra uomini e donne? Magari in una modalità, cartesiana, del tipo: io sono io e non provo a immedesimarmi in te, tu sei tu e cerchiamo di convivere al meglio e ognuno nel rispetto della propria identità senza pasticci e bluff. E invece, no, il femminismo maschilista – quello che si riempie la bocca di Virginia Wolf e di Hannah Arendt e si sdilinquisce per il #MeToo (ed è sempre lo stesso personaggio che ho in mente) – è la nuova frontiera della vecchia seduzione. Un po’ piacione, un po’ provolone.

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Antonella Polimeni, prima rettrice eletta alla Sapienza dopo 717 anni: «Il gender gap si combatte all’Università»

Antonella Polimeni, prima rettrice eletta alla Sapienza dopo 717 anni: «Il gender gap si combatte all'Università»
Antonella Polimeni, prima rettrice eletta alla Sapienza dopo 717 anni: «Il gender gap si combatte all'Università»

«Pensate al futuro che vi aspetta, pensate a quello che potete fare, e non temete niente». Così scriveva Rita Levi Montalcini. Il contesto universitario del Paese deve rappresentare un luogo privilegiato dove sostenere le questioni relative alla parità di genere. La disuguaglianza di genere determina la mancata valorizzazione dei talenti, del sapere, della ricerca. Per contrastare la perdita di talenti è necessario parlare alle giovani ancor prima che arrivino nelle aule universitarie. Bisogna potenziare l’orientamento finalizzandolo ad una maggiore apertura critica e offrire pari opportunità di scelta a prescindere dagli stereotipi cristallizzati. È necessario sostenere chi fa ricerca e introdurre politiche specifiche (sostegno, conciliazione lavoro-famiglia, reclutamento) per diminuire il gender-gap e abbattere gli ostacoli che impediscono il raggiungimento della parità. Creare un ambiente di formazione e lavoro inclusivo permette di accrescere il benessere di tutte e di tutti, consentendo ad ogni persona di esprimere al meglio le proprie qualità e professionalità, contribuendo così al miglioramento del rendimento e della performance dell’Università nel suo complesso.

IL TARGET 5

Per raggiungere questo obiettivo bisogna rafforzare il nesso causale esistente tra inclusione, valorizzazione delle diversità, sostegno/attrazione del talento e tasso di innovazione. È necessario ridurre gli ostacoli alla parità di genere, valorizzando la partecipazione delle donne e promuovendo il successo femminile. Il raggiungimento dell’uguaglianza di genere e l’empowerment (autostima, consapevolezza, maggiore forza) di tutte le ragazze e le donne rappresenta l’obiettivo 5 dell’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile adottata dalla 70-esima Assemblea delle Nazioni Unite (ONU) nel 2015 che nel target 5 richiama alla necessità di garantire alle donne la piena ed effettiva partecipazione e pari opportunità di leadership a tutti i livelli del processo decisionale nella vita pubblica, economica e politica.

I NUMERI

Le donne si laureano prima, ottengono votazioni superiori e abbandonano meno gli studi, rappresentano il 58% del totale dei Laureati e il 52% dei Dottori di ricerca. Quando tuttavia passiamo ad analizzare i dati sulla carriera accademica è facile evidenziare come, man mano che saliamo nella scala gerarchica le percentuali diminuiscano, con 50% tra gli assegni di ricerca, il 47% tra i Ricercatori, il 38% tra i Professori Associati e il 23% tra i Professori Ordinari. Facile evidenziare “per tabulas” alcuni fenomeni ben noti: la progressiva uscita delle donne dal percorso accademico una volta terminata la formazione universitaria (leaky pipeline), la segregazione verticale delle carriere delle donne. Poche raggiungono posizioni di vertice: il soffitto di cristallo (glass ceiling) – barriera invisibile che impedisce alle donne l’accesso ai ruoli apicali – è stato definito con un vero e proprio indice GCI (GlassCeiling Index) dato dal rapporto tra le donne presenti nel mondo accademico e quelle presenti al massimo livello di carriera (Professore Ordinario). L’indice è uguale a 1 quando c’è una perfetta parità di genere, quanto più l’indice è superiore a 1 tanto più le donne sono sottorappresentate nei livelli alti di carriera.

L’INDICE

Il GCI per l’Italia è pari a 1,63. La buona notizia è che ha un valore decrescente nel tempo: si è mantenuto sotto la media europea fino al 2013, poi si è allineato. La segregazione orizzontale, si riferisce alla canalizzazione diversificata nei settori di studio a seconda dei sessi. Tra i fattori che concorrono a determinare questo trend indubbiamente gli stereotipi culturali e sociali che vanno a influire sulle scelte di percorsi di studio che le studentesse considerano funzionali a sbocchi lavorativi adatti al proprio sesso: ancora oggi le ragazze tendono a scegliere percorsi di studio umanistici rispetto a quelli scientifici. Quindi un sistema formativo integrato aperto e flessibile supportato da politiche educative volte al raggiungimento della parità e dell’inclusione sociale deve essere accompagnato da un investimento sulla formazione lungo l’arco della vita (lifelong learning) per rendere ragazze/donne consapevoli e libere di scegliere rendendole in grado di riconoscere i propri bisogni formativi.

*Rettrice Università di Roma Sapienza eletta per il sessennio 2020/2026

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Donne e potere, Ursula von der Leyen: l’oroscopo di Branko della presidente della Commissione Ue

Donne e potere, Ursula von der Leyen: l'oroscopo di Branko della presidente della Commissione Ue
Donne e potere, Ursula von der Leyen: l'oroscopo di Branko della presidente della Commissione Ue

Il quadro astrale di nascita sembra più quello di una regina che non del Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Le note biografiche riportano che è sposata con un discendente di nobile famiglia tedesca, ma per l’astrologia è nata sotto il segno dell’aristocratica Bilancia con Luna in Leone, segno delle regine. Una Luna che lasciava prevedere una vita da protagonista il giorno della sua nascita, 8 ottobre 1958. Anche se non conosciamo l’ora per la ricerca dell’ascendente, i parametri generali forniscono indicazioni su carattere, stile, vita. Le stelle raccontano che ha avuto un’infanzia felice, dai genitori ha ricevuto solide basi di buon senso e praticità, rispetto delle tradizioni. Luna in trigono con Saturno in Sagittario mette in evidenza la figura paterna e annuncia un legame matrimoniale prestigioso. Aspetti che giocano un ruolo importante nelle scelte di studi e carriera. Il ruolo che il destino le ha assegnato è meritato, si è fatta da sola. A Bruxelles riesce a mantenere equilibrio in un ambiente che equilibrato non è, con la prospettiva di peggiorare nel 2021, sin dal 6 gennaio. Carattere e aspetto della Signora sono tipici della Bilancia: elegante, gentile, affascinante, molto curata, con la fissazione per i capelli (effetto Leone). Adora le sfumature dell’azzurro, celeste, rosa, verde chiaro. I fiori preferiti sono le ortensie e le rose molto grandi, zaffiro e giada i suoi portafortuna.

Mercurio in Bilancia la aiuta a difendere un’atmosfera armoniosa con i collaboratori. Non sopporta costrizioni e freni, Venere congiunta a Plutone fa di lei una donna libera. Anche testarda, certo, Marte è in Toro, ma è convinta che il successo sia una questione personale. Non è fredda come può sembrare, Giove si trova nel sensuale Scorpione… Ha avuto fortuna pure in amore, la sua ardente natura ha incontrato l’uomo che la completa fisicamente, emotivamente, spiritualmente. I frutti della loro passione: 7 meravigliosi figli. Quest’anno ha dovuto sopportare, come ogni Bilancia, la quadratura di Giove e Saturno e Marte in opposizione, ma è riuscita a realizzare parte dei suoi progetti, grazie anche alla freddezza nordica. Pure il Dna ha il suo ruolo nelle previsioni astrologiche e nel 2021 dovrà misurarsi con Urano in Toro. Il pianeta quadrato alla posizione di nascita, Leone, comincia a mettere in discussione scelte del passato, del presente. Essendo un pianeta “capitalista” richiede cautela nelle finanze… Per liberarsi dello stress dovrà concedersi frequenti pause di relax, anche lontano dalla famiglia. Nettuno suggerisce una vacanza d’amore in Birmania, paradiso della Bilancia.

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