Stefano Accorsi: «Senza donne non si può. Voglio creare un’associazione di uomini simbolo, come Totti e Mancini, che insegnino come migliorarsi»

Cominciamo dalla fine: quando dal set di Vostro Onore chiamano Stefano Accorsi, ancora una volta spunta fuori il senso di tante cose che ci stiamo a raccontare da un po’. Ma è vero? «Sì, è vero». Qualche settimana fa Stefano – attore, autore, imprenditore – si trovava in una riunione di lavoro. «Mi guardo attorno e vedo che siamo solo uomini. Capita spesso, purtroppo. E faccio a tutti: non deve capitare più, non può capitare più. Non mi sento a mio agio, così. E faccio a tutti: signori, dobbiamo fare qualcosa perché questa riunione sta perdendo sicuramente valore. Alla fine è facile: non possiamo essere solo uomini. Non sono stato l’unico ad accorgermene. E non è per il politicamente corretto, è che a me sale il disagio».

Accorsi, lei però è uno concreto: a lei piace fare le cose, crearle non solo interpretarle. Che facciamo con questo concetto esteso di mansplaining?

«Esercizio: facciamo che se il riflesso non ce l’hai, te lo fai venire. Ce ne accorgiamo prima. Le quote, come concetto, non mi piacciono un granché, ma sono servite eccome. Un po’ di forcing va fatto. Il cambiamento che questo innesca ci cambierà tutti in meglio. E il cambio di generazione farà il resto».

Che “senza donne non si può” Stefano non l’ha nemmeno appreso, giusto: la vita in casa Accorsi era con le donne al centro? L’ho imparato leggendo “Album”, il libro sui suoi primi 50 anni.

«Sono cresciuto in una famiglia in cui madri, sorelle, nonne avevano un ruolo importante, decisivo. A crescermi e crescere con me ho avuto donne-agenti decisive. Le donne che ho amato sono state tutte determinanti per la mia formazione. Ne faccio un discorso qualitativo, non quantitativo: “senza” mancano qualità ai progetti, lavoro o vita. Ma l’educazione che ricevi è fondamentale. Alla fine io sono uno del ramo femminile della famiglia, ramo di donne che lavoravano tutte e che il rispetto lo attraevano istintivamente».

Parlava di disagio, cos’altro del comportamento degli uomini non le va giù?

«A me una certa serie di battute che si fanno in ambito maschile mi hanno sempre messo a disagio. Non voglio fare il santo, ma l’abitudine della mia vita era quella e certe battute sessiste mi hanno sempre dato fastidio. Io penso che si debba fare qualcosa di concreto, noi uomini, per essere migliori».

Ecco, chiedo all’Accorsi homo faber: che si fa?

«L’impegno principale non deve essere quello di consolare tua figlia, ma educare tuo figlio se dice cose sbagliate. Io vorrei creare una associazione di uomini conosciuti, che sia di esempio, che vada nelle scuole – con metodo – sfruttando l’immagine di un film, un’impresa sportiva, che possa arrivare ai ragazzi. Io penso a Totti, lo conosco poco ma la simpatia che trasmette è comunicativa; penso a Federico Marchetti, il fondatore di Yoox Net-a-Porter, che lavora da sempre con staff al femminile; magari uno carismatico come Roberto Mancini, ho avuto la fortuna di essere nel gruppo di Sogno Azzurro e quei ragazzi trasmettevano valori positivi, formativi. Ecco io dico che noi ragazzi un po’ più anziani possiamo dire: così no e vi spiego perché e magari vi dico come fare per essere migliori con le ragazze intorno a noi. Io non sono nato imparato come si dice, ma questa associazione la vorrei proprio metter su. I pensieri devono avere una concretizzazione».

Accorsi dal Maxibon a RadioFreccia, dall’Ultimo Bacio in poi la sua è comunque la storia di un giovanotto a cui forse si buttavano ai piedi.

«Sì, è capitato questo genere di cose. Quel disagio di cui parlavo prima, ecco, mi saliva il disagio. Ho imparato tardi anche ad accettare i complimenti, sviavo. Ho sempre temuto quell’adulazione figlia dell’immagine che la gente si fa di te. La deferenza per la star non mi piace. Ora, però, non imbarazzo chi mi fa i complimenti: un passo avanti».

All’apice del successo, la Francia. Trova la storia importante e glamour con Laetitia Casta, icona nazionale, ma soprattutto madre dei suoi primi due figli.

«Mi ha insegnato tanto vivere da protagonista e testimone un’esistenza di quel tipo. E direi che molto la Francia mi ha insegnato: sono ripartito da zero, tornavo a fare i provini, dovevo cercare anziché essere cercato. Fuori dalla comfort zone ho cominciato la vita che è la mia anche ora: guadagnarmi tutto sul campo, il “tutto ti è dato” non c’è più. Un vero click della vita: lì sono nati progetti come 1992-1993-1994. Vedere tutto quello che si muoveva attorno a Laetitia mi ha fatto capire tante cose dello showbiz, immaginare possibilità. Gli spot, ad esempio: ci devi mettere del tuo, essere imprenditore della tua arte. Poi tutto questo me lo sono ritrovato da direttore del teatro della Toscana, ad esempio. Oggi sono molto più attivo, creativo».

Tre figli maschi e una femmina. Athena ha 12 anni e cresce in Francia.

«Io i figli li vorrei tutti con me. Sono contento che Orlando, il grande, viva con me in Italia, perché è un periodo difficile questo, ma se viaggi capisci che – nonostante tutto – il tessuto connettivo di relazioni che c’è da noi non lo cambieresti. Altrove, anche in Francia, la senti meno la vicinanza degli altri. Eppoi Bianca Vitali, mia moglie, è una donna geniale: ha accolto tutto di Stefano Accorsi, il pacchetto completo. Tutto quello che c’era prima di lei. Non è comune: io mi rendo conto della rarità e di quanto importante sia il suo essere protagonista attiva della sua e della mia vita».

Raffaella Carrà e Ferzan Ozpetek: azzardo un parallelismo. Due persone che grazie a tv e cinema, ma soprattutto a sentimenti e volti popolari, di fiducia, hanno rivoluzionato la nostra società.

«Parallelo calzante. La Carrà è un caso raro di icona, concetto legato al classicismo, eppure sempre moderna. Nei primi anni della carriera faceva entrare nelle case degli italiani un’immagine della donna davvero diversa da quella cui venivano educate le ragazzine: la sua bambola Maga Maghella mostrava l’ombelico; lei non si sposa, è senza figli, è cresciuta da donne. Anche oggi succede con la musica, le serie, il cinema. La famiglia finisce per assecondare il capriccio di un figlio, prova a sentirsi moderna accettando modelli che poi scavano nell’immaginario, che cambiano il dna delle persone e delle famiglie passando sotto pelle. Ozpetek, dalle Fate ignoranti in poi, mette in scena amori e personaggi con cui empatizzi così tanto che non stai lì a pensare se siano omosessuali o meno. Ne’ La Dea Fortuna io ed Edoardo Leo siamo una coppia che scopre il sentimento travolgente della genitorialità: figli non loro, amati come tali. Non padri, non madri: genitori. Senza provocare e dividere, come si fa oggi con i messaggi social, dove devi sempre giudicare, senza empatia. L’omosessualità nei film c’è sempre stata, nel Vizietto simpatizzavi con i protagonisti, ma erano altro da te. Dici: quelli non siamo noi. Con Ferzan sì».

Torno alle donne della sua vita. Al suo fianco ha avuto attrici di grande talento e profondità.

«E agenti determinanti come Graziella Bonacchi, Moira Mazzantini ed Emanuela Volpe. Però, sì, l’elenco è lungo: uomini o donne non conta, non contano i ruoli, conta la bravura. Però Giovanna Mezzogiorno, la GolinoMargherita BuyJasmine TrincaMiriam Leone… Matilda De Angelis: non aveva nemmeno 18 anni quando abbiamo girato Veloce come il Vento, doveva fare la pilota e impara a guidare. La foto del manifesto è rubata mentre ci allenavamo sul set: il tipo di persona che se vede un muro, lo scavalca».

Donne molto attive, donne che determinano: se scorro il libro e le parole di questa intervista è un filo rosso.

«Sì, è vero. Mi piacciono le persone con un’identità forte. Bianca ha un suo mondo: poi lo condividiamo, ma è bello che abbia posti suoi nella vita». Senza donne non si può: eravamo partiti così, alla prima telefonata. «Il gap ce l’ha il mondo, se releghi una parte così importante al contesto privato. Tenere lontane le donne dal potere e dalle decisioni fa perdere la comunità di grandi risorse. Fa perdere tanto al mondo, la permeabilità arricchisce i singoli e la società. Credo nell’osmosi e combatto gli orticelli: di qualunque genere».

Me la concede la battuta vintage: tu gust is megl che uan?

«Oggi direi: uno più uno fa molto più di due. Ma in emiliano, visto che sono anche orgogliosamente testimonial del turismo della mia regione».

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