La marcia in più delle giovani donne: un'alleanza con le boomer

Non sono omologate né omologabili. Alcune hanno figli e li hanno voluti presto. Altre non ci pensano proprio. In generale hanno un buon rapporto con le loro madri ma spesso sono andate via da casa a venti anni o su di lì. In molte combattono per una vita meno precaria, per un futuro economicamente meno instabile, ma tante di loro il lavoro sono andate a cercarselo, all’estero, o se lo sono inventato, creando start up. Sono le Millennial, le ragazze nate tra gli anni ‘80 e i ‘90, le donne economicamente più indipendenti della storia, le trentenni che si sono laureate più dei loro coetanei, quelle che si sposano sempre più tardi, quelle che, almeno negli Stati Uniti, nel 70 per cento dei casi lavorano. A quattro anni guardavano i cartoni animati giapponesi “Mila e Shiro, due cuori della pallavolo”, a sei sono andate al cinema sognando “La Sirenetta”, a tredici, accompagnate dalle mamme che ballavano con loro, si sono fatte scortare ai concerti delle “Spice girls” e ancora non capivano che cosa fosse il “girl power” che Posh e le altre teorizzavano. Se ne sono fatte presto un’idea. A diciotto anni sbuffavano alla parola “Femminista”, a ventiquattro, quando le più fortunate hanno cominciato a farsi strada nel mondo del lavoro, sono state le prime a dire «mamma forse avevi ragione tu, di femminismo c’è ancora bisogno».

LA CONSAPEVOLEZZA

 A proposito delle loro madri. E delle loro nonne. Hanno preso ispirazione da tutte e due le generazioni. Proprio come fecero le Baby boomer negli anni ‘80, anche le Millennial cercano di farsi strada nel mondo del lavoro, ma a differenza delle loro madri sono molto più consapevoli dei loro meriti e dei loro diritti. Sanno come si negozia un aumento di stipendio. E, sempre generalizzando, puntano sul merito, non sulle raccomandazioni. (Sì, ci saranno sempre quelle che cercano scorciatoie o puntano a un matrimonio che le sistemi, ma qui si sta parlando delle trentenni che fanno tendenza, non di quelle che si comportano come secoli fa e le hanno educate le mamme e le nonne). A proposito di nonne. Di solito hanno avuto un ruolo importante nelle vite delle Millennial e da loro hanno imparato a dare il giusto peso alla vita affettiva: sono la generazione di figli che per primi hanno sperimentato separazioni e divorzi di massa, così tendono a sposarsi poco e tardi. Ma quando si fidanzano, cercano il rapporto stabile. Sono più disposte, invece, a cambiare lavoro. Scelgono aziende di cui possano condividere non solo gli obiettivi ma anche i valori. Sono ragazze con un buon livello di istruzione e riflettono prima di legarsi a questo o a quel datore di lavoro. Secondo il Pew Research Center (dati del 2017), il 36 per cento delle giovani donne che hanno tra i 21 e i 36 anni ha conseguito una laurea, mentre solo il 29 per cento dei coetanei maschi ha fatto altrettanto. Per l’Italia naturalmente bisogna tenere conto anche di un altro, inquietante, dato: una ragazza su tre tra i 25 e i 34 anni non studia e non lavora. Sono quelle che, soprattutto al Sud, si sposano presto e poi difficilmente riescono a trovare un’indipendenza economica. Indipendenza che invece in generale le Millennial perseguono con determinazione. E fanno bene. Saranno la generazione che, sulla base delle previsioni disponibili oggi, vivrà più a lungo di chi l’ha preceduta. Ma a differenza di madri e nonne difficilmente potranno contare sulla pensione. Come ha spiegato Carrie Schwab-Pomeranz, senior vice president della banca Charles Schwab Corporation: «Dovranno lavorare di più, risparmiare di più ed essere responsabili delle loro finanze». Sul loro orizzonte, dunque, si accumulano le nubi dell’insicurezza economica, eppure se parlate con molte di loro scoprirete un’energia, una passione sorridente che contagia anche i più pessimisti.

IL PASSAGGIO

La cosa nuova, e positiva per loro, è che le Millennial possono contare sulla solidarietà attiva e concreta delle Baby boomer. Non solo delle loro madri. Anche delle loro boss, in ufficio, o delle docenti se fanno ricerca all’università, delle dirigenti se sono in un’azienda. Perché per la prima volta nella storia, alle trentenni di oggi può capitare di avere un capo donna e comunque, ovunque lavorino, difficilmente saranno le sole donne in una riunione. D’accordo, prevedo le obiezioni: possono esserci cape psicopatiche, invidiose e poco cooperative. Ci sono ancora molti ambienti in cui a decidere sono solo e soltanto gli uomini. Tutto vero. Ma è innegabile che oggi la maggioranza di noi Baby boomer se può dà una mano. Io lo faccio raccontando Millennial che si sono inventate start up o che sono andate a studiare in Corea pur di realizzare i loro sogni. Lo faccio nel podcast “Donne del futuro”, lo facciamo dando spazio alle Millennial su questo numero di “Molto Donna” o intervistandole nel webinar che “Il Messaggero” e i giornali del gruppo Caltagirone hanno organizzato per questo 28 ottobre. Qualche giorno fa lo storico Alessandro Barbero è stato criticato per aver detto in un’intervista che forse le donne hanno meno successo perché sono più insicure, meno “spavalde” degli uomini. In realtà aveva ragione Barbero, ha solo mancato di aggiungere «ma questo vale più per il passato che per il presente». Perché oggi le Baby boomer ormai hanno un’età in cui è difficile lasciarsi intimidire. Mentre per le Millennial vale l’aneddoto che mi hanno raccontato. Una trentenne impiegata in una società di comunicazione conversava con la sua “capa” che le suggeriva di leggere “Seducing the boys club”, un vecchio saggio scritto da Nina Di Sesa, famosa direttrice creativa americana degli anni ‘80. «Ti servirà per fare carriera» consigliava la più anziana alla più giovane. Ma la Millennial le ha risposto secca: «Io non voglio sedurre o manipolare nessuno. Faccio bene il mio lavoro. Lo devono riconoscere e basta».

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