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Design, la direttrice di Interni Gilda Bojardi: «In 70 anni la storia dello stile Made in Italy»

Era il 1954 e, per la prima volta, arrivava in edicola Interni – all’epoca con il titolo La rivista dell’arredamento – mensile concepito per illustrare e valorizzare il design made in Italy, tra creatività e tecnica. Ascolta: Gianna Nannini senza età (né genere): «Sono una mamma ganza. Una mamma come me non ce n'è» Sono passati settant’anni e, per celebrare l’anniversario, al FuoriSalone, in occasione della Design Week a Milano, ma oltre il…
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L'arredo si fa gioco: tazze, fiori e animali per i bambini

Forme divertenti e inusitate in casa. Colori accesi e accostamenti pop. E, perché no, la sorpresa del movimento. Ascolta: Gianna Nannini senza età (né genere): «Sono una mamma ganza. Una mamma come me non ce n'è» La funzionalità diventa un gioco da ragazzi, letteralmente, nel design, grazie a una serie di creazioni pensate proprio per i più piccoli, rispondendo a esigenze pratiche ma con la capacità di sollecitare la fantasia. Una vera lezione di…
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Cinema, nell'armadio di Caterina Shulha: «Gli abiti? Dovrebbero farci sentire sicure»

Capelli biondi, occhi azzurri, viso d’angelo. Ascolta: Gianna Nannini senza età (né genere): «Sono una mamma ganza. Una mamma come me non ce n'è» Un biglietto da visita che va però stretto a Caterina Shulha, attrice classe 1993 di origine bielorussa, mamma di tre bambini, dal 2006 romana di adozione. Una carriera che inizia dopo aver frequentato il liceo linguistico di Ostia e aver partecipato a un laboratorio teatrale di arte drammatica (ed essere stata…
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Beauty, ecco gli ultimi rimedi per perdere la pelle a buccia d'arancia

La famigerata prova costume si avvicina e con essa la lotta al più temuto degli inestetismi, la cellulite. Ascolta: Gianna Nannini senza età (né genere): «Sono una mamma ganza. Una mamma come me non ce n'è» Una vera e propria nemica giurata del genere femminile visto che riguarda l’85% delle donne ed è decisamente democratica: riguarda anche le persone magre e non risparmia nemmeno le dive di Hollywood. Si tratta di un’alterazione del tessuto ricco…
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Niente sesso sono giovani: hanno altro per la testa

Cara Michela,  c’è un modo tutto nostro di parlare anche senza aprire bocca, di guardarci senza aprire gli occhi, di essere anche se siamo lontani. Ascolta: Gianna Nannini senza età (né genere): «Sono una mamma ganza. Una mamma come me non ce n'è» Ci conosciamo da più di 45 anni, abbiamo già fatto le nozze d’argento, figli e nipoti, fratelli, sorelle e affini e persino una bisnonna in gamba. La nostra è stata una storia…
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Donne e motori, Francesca Sangalli e l'idea Cupra: «L'auto sportiva e veloce non è solo per uomini»

No agli stereotipi, sì alla rivoluzione, di sguardi, prospettive, tecniche. Insomma, visione. Anche al volante. La concept car Cupra la "ribellione" la dichiara già nel nome – DarkRebel appunto – ed è anche contro canoni e stereotipi, primo tra tutto quello per cui un'auto sportiva, potente, veloce, è comunemente ritenuta "maschile". Il segreto della vettura, infatti, a sorpresa, è in uno sguardo femminile, quello di Francesca Sangalli, Responsabile di Color & Trim and Concept…
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"Rovesciare gli stereotipi", webinar al Messaggero: «Lavoro, pari opportunità per lo sviluppo del Paese»

Occorreranno centotrenta anni per raggiungere la parità di genere. Secondo l’ultimo Rapporto Onu, pubblicato a fine 2023, infatti, l’obiettivo sarà raggiunto solo nel 2154. E l’Italia, per equity gender, è terzultima in Europa. Il 2024, però, con gli esiti delle nuove regole europee di trasparenza salariale e la certificazione di parità di genere nelle aziende, potrebbe essere l’anno della svolta. È da numeri e prospettive, coscienza delle disparità – anche storiche – e dell’esigenza, forse sarebbe meglio dire urgenza, di cambiamento, che ha preso spunto, ieri, il webinar di MoltoDonna Rovesciare gli stereotipi, moderato dal vicedirettore del Messaggero Alvaro Moretti e dalla responsabile degli inserti Molto Alessandra Spinelli, trasmesso in diretta dallo studio Tv de Il Messaggero anche sui siti delle altre testate del Gruppo Caltagirone Editore (Il Gazzettino,il Mattino, Corriere Adriatico, Nuovo Quotidiano di Puglia).

LA CRESCITA

Ad essere dibattuta è una questione di equità, appunto. E di cultura, tecnica, risorse, crescita. «Le pari opportunità sono un tema sociale ma anche di sviluppo economico. Un territorio non può svilupparsi se non valorizza tutte le sue risorse, e qui parliamo del 50% del Paese», ha sottolineato Monica Lucarelli, assessora capitolina a Politiche della Sicurezza, Attività Produttive e Pari Opportunità. «Gli studi di marketing ci dimostrano l’importanza della diversità come valore. È fondamentale tenere presenti modi di vivere diversi». Cambiamenti nelle attività produttive romane sono evidenti ma non sufficienti. «Ci sono imprenditrici molto in gamba e anche in contesti atipici per il genere, ma sono poche. Per numero di imprese femminili che nascono, invece, Roma è al primo posto in Italia, gli ambiti però sono tipicamente femminili».

Monica Lucarelli, assessora di Roma Capitale

A trainare il cambiamento potrebbero essere proprio società e imprese. «Nelle grandi società le cose sono mutate molto negli ultimi anni – secondo Laura Cavatorta, membro dei CdA di INWIT, Unieuro e Snam, intervenuta nel panel Women at Work con Anita Falcetta, fondatrice di Women of Change Italia – l’abbattimento delle discriminazioni è un impegno, quindi possono fare da traino». Gli ostacoli però sono tanti. Ed evidenti. «Nel 2022, secondo uno studio fatto per la Camera, si sono dimesse quasi 45.000 mamme lavoratrici. Ossia una su cinque, il 20%, perché non riuscivano, nel 64% dei casi, a conciliare lavoro e famiglia – ha aggiunto – E se guardiamo il dato d’occupazione femminile nell’età tipica della maternità, abbiamo percentuali preoccupanti. Tra i 25 e i 34 anni siamo ultimi in Europa». Non è difficile capire le ragioni. È questione di asili nido insufficienti, congedi di maternità retribuiti troppo poco e, in generale, scarsi servizi per la genitorialità. La mancanza però è, spesso, prima di tutto, di visione. «In alcune aziende – ha dichiarato Falcetta, che si occupa anche di consulenza per piccole e medie imprese – il gender pay gap viene detto inesistente solo perché non ci sono donne nei ruoli apicali, quindi non c’è possibilità di confronto». Ancora, «Abbiamo fatto una campagna internazionale provocatoria che diceva “pagare le donne meno degli uomini significa derubarle ogni giorno”. C’è un divario di circa 8 mila euro annui calcolato dagli ultimi dati Inps. La questione delle pari opportunità dovrebbe passare dal social alla Governance». E se i numeri si analizzano in prospettiva, il divario diventa ancora più grande. Pressoché incolmabile. «A fine vita lavorativa, quindi al termine del cumulo delle varie discriminazioni – ha rimarcato Cavatorta – secondo dati Inps 2021 o 2022, il gap tra uomini e donne sulla pensione è del 38%. E il dato grezzo supera il 43%. Non vuol dire che le donne sono pagate il 43% in meno, ma che le pari opportunità non ci sono state».

Anita Falcetta e Laura Cavatorta, in studio con Alvaro Moretti e Alessandra Spinelli

LE PROSPETTIVE

Le occasioni ci sarebbero, anche negli ambiti considerati di maggior sviluppo, come tecnologia, robotica, IA, ma le Stem sembrano non attirare molte studentesse. «Il mondo nuovo, che si sta costruendo, è basato sul digitale e, di fatto, è creato da grandi imprese americane con uomini al vertice. E gli uomini falliscono spesso, altrimenti non farebbero le guerre. Non possiamo lasciare loro la costruzione del domani», ha affermato Tiziana Catarci, direttrice Dipartimento di Ingegneria Informatica, Automatica e Gestionale A. Ruberti della Sapienza di Roma, protagonista con Bianca De Teffé Erb, Director Data & Al Ethics Leader Deloitte, del panel WomeninDataScience.«Servono nuovi modelli e narrazioni. Samantha Cristoforetti viene presentata sempre come eccezionale e le ragazze spesso non si sentono così. Servono esempi di donne normali arrivate in posizioni apicali». Da qui, l’appello di De Teffé Erb alle più giovani: «Seguite le vostre passioni. Vi imbatterete nella tecnologia. Non bloccatevi per paura o insicurezze. Nessuno è esperto, bisogna sperimentare». Mettersi in gioco. E andare al di là dipregiudizi e stereotipi.

Bianca De Teffé Erb e  Tiziana Catarci, in studio con Alvaro Moretti e Alessandra Spinelli 
 

 

"Rovesciare gli stereotipi", webinar al Messaggero: «Le nostre donne libere di essere oltre gli schemi»

Donne che lottano per la parità di genere, su palco o set, come protagoniste di film e serie. E, non di rado, per le stesse ragioni, battagliano dietro le quinte. C’è stata anche la scena – tra ciò che si mostra e ciò che non si vede – ieri, tra i temi del webinar di MoltoDonna Rovesciare gli stereotipi, moderato da Alvaro Moretti, vicedirettore del Messaggero, e da Alessandra Spinelli, responsabile degli inserti Molto. A raccontarsi, in due incontri ad hoc, Ludovica Martino, coprotagonista del film Il mio posto è qui, in uscita il 25 aprile, e Sara Drago, che è nel cast delle serie Call My Agent e Imma Tataranni.

LA LEZIONE

Ambientato negli anni Quaranta,Il mio posto è qui racconta la storia di Marta, ragazza madre in un paesino della Calabria, che emarginata anche dalla famiglia, trova nel lavoro il suo riscatto. «Vorrei dire di non aver guardato al presente per il ruolo ma basta aprire i giornali per trovare ogni giorno storie di sopraffazione ai danni delle donne – ha detto Ludovica Martino – Qui non è un uomo a salvare la protagonista, ma un’altra donna, che insegnandole a dattilografare, le assicura un mestiere». E la possibilità di essere indipendente. Una lezione importante. «Mia madre mi ha educato a mettere me stessa prima di un uomo, a chiedermi se sono davvero felice in una situazione, a comprendere cosa voglio. Può sembrare individualismo ma ci dona valore come persone». Ed è proprio quella della libertà – anche dal mito del principe azzurro – la storia che le giovani vogliono ascoltare.

Ludovica Martino

LE NUOVE GENERAZIONI

«In Call My Agent, il mio personaggio, Lea – ha raccontato Sara Drago – è forte, volitiva, aggressiva in modo sano, anche se talvolta esagera e passa sopra ai sentimenti, perfino ai propri». La sua determinazione conquista. «Lea piace a tante bambine, forse perché spacca tutto ed è lontana dal cliché del principe azzurro da aspettare». Le nuove generazioni, dunque, vogliono un mondo nuovo. E la sua costruzione passa, inevitabilmente, anche per l’immaginario creato da scenari e modelli televisivi. «Imma Tataranni è una serie importante e ha un nome di donna. La protagonista non è raccontata come madre, moglie e via dicendo. Ha un’identità forte. Alle giovani direi: studiate, appassionatevi, cercate quello che vi piace, chiudete le porte di quello che non volete». E Ludovica Martino: «A 27 anni, sento le classiche domande: quando ti sposi, quando avrai dei figli? In un mondo in cui siamo sottoposte a tante pressioni, io oggi cerco di ascoltarmi di più».

Sara Drago

 

Via gli stereotipi, Tiziana Catarci: «Forza ragazze c'è un mondo nuovo da costruire, non lasciate l'Ia ai maschi»

«Non dobbiamo prendere a modello persone eccezionali, non dobbiamo indicare che so Samantha Cristoforetti, ma invece dobbiamo convincere le ragazze che è normale e non eccezionale studiare ingegneria e fare un percorso nelle materie scientifiche. E che anzi c'è tutto un mondo nuovo da costruire, anche con L'intelligenza artificiale, e che questo mondo non può fare meno di una parte così importante, non può fare a meno del 50 per cento della popolazione». Tiziana Catarci, Direttrice…
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Levante: «Io, fuori dai ruoli prefissati»

L'intervista è on the road (again) perché Levante è in tour: teatri, stavolta, perché sono passati dieci anni da Manuale Distruzione.

«Mi piacerebbe ancora girare con quei van da 9 posti, stretti con la band. La maternità cambia qualcosa: soprattutto i tempi, anche alle rocker». Cambia moltissimo, di più, lo scopriremo. E in Claudia Lagona (il suo nome d'anagrafe) e in Levante l'artista poliedrica che sceglie modalità analogiche per esprimere se stessa, pur essendo stata la prima cantante in Italia ad avere una spunta blu su Instagram.
«Vedi – mi dice – quella piattaforma mi ha consentito, spesso, di mostrare al mondo passioni e inclinazioni che sono prima di Claudia e poi anche di Levante: fin da piccola adoravo fotografare, portare le foto a sviluppare; e scrivere. Così i miei post erano spesso pagine di quei libri che poi ho cominciato a scrivere sul serio».

Sta scrivendo anche ora che è in tour (ad aprile le date di Bari, Roma, il 16, Pescara e avanti fino a metà maggio).

«Sto consegnando il quarto libro. Stavolta, però, non è un romanzo: saranno poesie o meglio pensieri che possiamo catalogare così».

Eccola, un'altra Levante: quante cose è Levante-Claudia: il percorso di vita e artistico è così multiforme. E il film-intervista Levante Ventitré – Anni di voli pindarici su Paramount + certifica un'anima che fa balzi e capriole.

«Mi sento libera di cambiare: sono tante cose, tutte insieme. E credo che la gente talvolta sia disorientata».

Nel film imperdibile la reazione (amorevolissima, accogliente) del suo compagno Pietro quando svoltò sul biondo assoluto per Sanremo 2023.

«D'impulso: ma che amore ad accogliere questa mia modalità. Ecco, io credo che debba essere permessa a tutti questa libertà, l'uscita da ruoli prefissati. Io sono Levante la cantautrice e la scrittrice, come c'è scritto su Wikipedia, ma anche la mamma e l'orfana di padre, la donna di famiglia e la gitana della musica, la fotografa che ama il cinema (sua la canzone e una partecipazione alle Romantiche di Pilar Fogliati , ndr). Eppoi la sicula cresciuta a Torino. Essere tante cose è un po' spiazzante: ma io sono un'anima analogica, un'artista che viene dalla givetta. Io sono mille me».

Cos'è la normalità per Levante?

«Mostrarsi: per quello che si è, per come si è in quel momento. Pietro mi disse vedendomi bionda: sei pazza e rideva. No, io ero libera così. Ma io vedo sempre più persone intorno a me meno sintetiche e analogiche. E d'altronde, io non credo alla creatività a bassa temperatura: la creazione artistica richiede l'incendio».

Nel film-intervista la temperatura cambia: all'inizio quasi un manifesto, parlando della storica serata dell'Arena, dopo un Sanremo vissuto con qualche travaglio. Poi il racconto della maternità, della depressione post-partum, fino ad una quiete figlia della consapevolezza.

«Di quel 2023 stavo capendo poco delle emozioni che mi attraversavano. La canzone presentata al festival, Vivo, era il grido di una donna che voleva riappropriarsi dopo la rivoluzione della maternità di tutta se stessa. Nessuno ti insegna che cosa significhi la vita da quando il pancione scompare e appare un essere umano che dipende da te. Mia madre di certi suoi cedimenti, di quelli di tutte le madri al cospetto di un miracolo così grande, mi ha parlato a cose fatte. Le dissi: ma non potevi avvertirmi? Quando parli di questa sofferenza, spesso incassi commenti negativi. Ti dicono: ma non ci pensi al dolore di chi i figli vuole averli, ma non può? Non esiste competizione col dolore, non si fa la gara a chi è più depressa. E il dolore degli altri non si giudica. Se sto male, lo dico. Ecco, piuttosto, dovremmo essere educate tutte ad essere pronte».

Claudia e Alma Futura: come siete messe, mamma e figlia?

«Grande amore, tantissime parole, tanta musica: suoniamo e cantiamo le mie canzoni. Facciamo spettacolini. Mentre partivo per Livorno mi ha detto “mi mancherai”: è sempre una piccola ferita. Ma la rassicuro: amore, sono con l’autista e torno subito. Il mio compagno colma questi spazi: non penso che avrei potuto immaginarmi madre senza una persona come lui accanto. Ho voluto che fosse tutto chiaro, per me e per chi mi sta attorno: a mia figlia parlerò dei momenti difficili dopo il parto. E quando aveva quattro mesi ho accettato di volare a Los Angeles per il calendario della Lavazza: dobbiamo abituarci tutti a questa nuova normalità».

 

La foto è molto bella, quella del calendario dico. In generale c’è una Levante da palco (anche quando canta tra amici: a me è capitato di vederla) che esplode e se ne frega di tutto e tutti. Poi c’è una Levante attentissima al senso estetico delle cose.

«Mi fotografavo sempre, da ragazzina. Mi sento un po’ vanitosa, quella vanità mi serve per comunicare. So di non essere una bambolina, ho una faccia importante, un naso pronunciato. Questo senso estetico, anche in cantautori come me, non era di moda: i trapper hanno sdoganato questo elemento. I social e la facilità con cui oggi si può comunicare con una foto hanno fatto il resto. Però rivendico quella mia spunta blu di Instagram 10 anni fa: la prima. Quella piattaforma è il mio diario visivo: non a caso ho scritto un libro che s’intitolava Se non ti vedo, non esisti».

Quella faccia importante mi fa pensare alla Callas, Irene Papas. E anche a Mina: un’altra anima capace di deviare il percorso drasticamente.

«Madonna mia: che paragone. Io penso al dolore con cui lei ha deciso di togliere qualcosa alle persone che l'amavano, di deludere l'opinione pubblica. Lei era diventata un'icona della tv da milioni di spettatori con Milleluci, dove interagiva con un'altra eroina e simbolo di donna libera come la Carrà . Al di là della qualità di cantante, c'è una figura femminile di riferimento».

L'esigenza di comunicare: tutto e in tutti i modi.

«Mi sarebbe piaciuto fare la giornalista: forse è stata la prima passione. Scrivo per un periodico e mi piace molto. Sono un'autrice che canta: a me le parole vengono meglio, anche quelle delle mie emozioni intime, quando le scrivo». 

Citava la tv parlando di Mina: la tv per la musica oggi è madre o matrigna?

«La tv oggi non vede di buon occhio la musica: certo, c'è Sanremo , ma lì da concorrente dico che la musica non è così ascoltata. In pochi attimi ti giochi il lavoro di un anno, a volte non riesci a portare la canzone che volevi come è capitato a me con Vivo, io volevo cantare Mi Manchi».

Il cinema è una grande passione: un film per provare a intrappolare un'immagine fissa di Levante. 

«Caruso Pascoski di padre polacco, di Nuti: un amore drammatico e comico, cervellotico e ridicolo. Ci ho anche scritto una canzone dieci anni fa. Io mi ci rivedo in artisti come lui e Troisi: che intercettano la tragedia e rivelano una cosa indicibile».

Cosa è indicibile?

«Io sono rimasta orfana a nove anni, è stato un grande dolore e vuoto che mi porto ancora. Quando morì mio padre, nei giorni del suo funerale tra noi fratelli scoppiammo a ridere per un fatto incredibile: mia sorella Maria aveva il compito di avvertire i parenti del lutto improvviso. In una delle telefonate annunciava la morte di Rosario, così si chiamava papà, ad una famiglia di parenti. Ma aveva sbagliato numero, anche loro avevano uno zio di nome Rosario. La telefonata fece piombare nello sconforto quei poveracci fino a quando si scoprì il malinteso: Verdone ci fece uno sketch raccontando un caso simile. Non c'è matrimonio in cui non si pianga e funerale in cui non si rida. Tra le mille me, mettiamoci anche questa».