Poké addio: ora si mangia a casa con piatti a km 0 e ricette tradizionali

L'Italia unita dall’home delivery. È certamente determinato dalla pandemia, da una quantità imprevedibile di persone bloccate in casa e persino dalla voglia di un menu delivery che possa soddisfare il desiderio di una cena speciale, dovendo rinunciare al ristorante. O forse più banalmente dal bisogno di spegnere per un giorno o più i fornelli, evitando così di dover cucinare l’ennesimo pasto per tutta la famiglia. Fatto sta che le piattaforme per la consegna a domicilio sono diventate imprescindibili: solo a Roma risultano circa 3mila i ristoranti affiliati. Ma c’è dell’altro, perché oltre alle app di riferimento, facilmente utilizzabili dal proprio smartphone, anche i ristoranti in giro per l’Italia si sono organizzati “in proprio” ed hanno attivato la consegna a casa in modo autonomo, evitando così di dover pagare la percentuale di provvigione sugli ordini che varia dal 22 al 35%. Quello che risulta lampante è che non esistono eccessive distinzioni regionali sulla scelta del pasto: in testa tra le dieci cucine più ordinate ci sono alimenti come la tradizionale e comoda pizza, l’immancabile hamburger e ovviamente l’esotico sushi. Per dire: la Capitale ha vissuto una vera hamburger-mania, in 5 anni, gli hamburger venduti coprirebbero per tre volte la superficie del Colosseo. E a proposito di hamburger le formule del Delivery e del Drive di McDonald’s sono cresciute esponenzialmente passando dal 28% al 41%.

I NUMERI

Eppure qualcosa in questo secondo lockdown da zona rossa è cambiato. E se stando ai dati dell’Osservatorio Just Eat 2020, nella classifica dei più ordinati rientrano anche il cinese, il pollo, i panini e il dolce a livello locale sta vincendo la formula del cibo a km zero proprio da quei ristoranti che hanno organizzato il proprio servizio a domicilio. E dunque via alle specialità cittadine o regionali: il supplì a Roma, l’oliva ripiena ad Ascoli, la parmigiana di melanzane in ogni forma a Napoli che pure è la patria della pizza. Perché ormai l’ordinazione da casa con applicazione o piattaforme digitali non è più considerabile lo sfizio di una sera o un’eccezione: su trenta città e 16.000 ristoranti, in Italia il cibo a domicilio ha raggiunto nel 2020 un fatturato intorno agli 800 milioni di euro, crescendo circa del 25% rispetto all’anno precedente. E le stime per il futuro non sono da meno: l’andamento raggiungerà il miliardo entro il 2021. Se poi ci si affaccia verso l’estero, la situazione non cambia di molto: secondo l’Osservatorio Coldiretti il valore dell’esportazione del cibo italiano nel mondo si aggira sui quaranta miliardi circa.

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