Sei donne per 100 miliardi: la sfida delle ministre che gestiranno la metà del Recovery Fund

L’ambizione va ben oltre, anche per via dei progetti “trasversali” ai diversi dicasteri. Ma almeno metà, circa 100 miliardi, del tesoretto del Recovery Fund da 209 miliardi destinato all’Italia sarà gestito da loro, da sei ministre del governo Conte. Perché è proprio qui, tra l’ampio capitolo Infrastrutture di Paola De Micheli, la leva lavoro in mano a Nunzia Catalfo legata a doppio filo alla strategia sulle Pari Opportunità di Elena Bonetti, tra le politiche agricole di Teresa Bellanova e il capitolo Innovazione di Paola Pisano, che si incrocia molto con il futuro della pubblica amministrazione disegnato da Fabiana Dadone, che si costruirà un pezzo della ripresa del Paese. L’obiettivo comune non è presentare un libro dei sogni, ma spingere il bottone capace davvero di cambiare strutturalmente gli ingranaggi cruciali che producono il Pil del Paese e per colmare il gap con il Sud. Un traguardo tutt’altro che scontato. Intanto un pezzo dei progetti che contano a cavallo del Recovery Fund è già finito nella Legge di Bilancio. Il resto sarà accelerato nel 2021, appena arriveranno le risorse Ue. Il grosso del pacchetto spetta a De Micheli, alla ministra “delle Opere”. Sono sei le aree di intervento in questo campo: opere ferroviarie e Alta velocità; riduzione del gap infrastrutturale della mobilità locale; green port e logistica sostenibile; piano di resilienza delle strade regionali e degli enti locali; piano nazionale per la qualità dell’abitare; e modernizzazione dei collegamenti stradali e autostradali immediatamente cantierabili per la mobilità e la connessione veloce del Paese. Tutto per «lasciare ai nostri figli un Paese più equo e sostenibile», sostiene la ministra. Si tratta di «fare una grande battaglia alle disuguaglianze infrastrutturali», quella tra Nord e Sud e quella tra Est e Ovest. Un piano di “rammendo”, come lo ha definito Renzo Piano. Le risorse in campo? Il Mit ha già consegnato ai ministeri dell’Economia e degli Affari europei il cronoprogramma di tutti i cantieri per quali ha chiesto il finanziamento. Ma quanto sarà davvero attinto dal Recovery resta un’incognita, almeno fino a quando il governo non avrà definito il Budgetary Plan da inviare a Bruxelles. Si può dire però che tra Recovery e altri fondi Ue, il Mit è pronto a far aprire cantieri nei prossimi 3 anni per 65 miliardi: naturalmente si tratta di progetti trasversali a tutte le missioni mentre alcuni cantieri tra quelli individuati sono di fatto già aperti.

NON SOLO OPERE

Ma poiché puntellare l’occupazione anche oltre le opere sarà un’altra tappa obbligata, tocca a Catalfo riattivare la leva del lavoro, già fragile, e ora più che mai minacciata dalla pandemia. L’obiettivo è destinare a questa voce almeno 16,5 miliardi. E la missione punta dritto soprattutto alle donne e ai giovani. Per «investire nel futuro», «ridare ossigeno al Paese», e renderlo «più forte e innovativo», dice la ministra. Quattro le direttrici inserite nel Piano Nazionale di Resilienza e Ripresa. Il fronte nuove competenze e formazione dei lavoratori (un dossier da 5 miliardi) prevede l’adozione di un Piano nazionale per sostenere le transizioni occupazionali. Di qui la leva dei Centri provinciali per l’istruzione degli adulti (CPIA), dei Centri di formazione professionale (CFP), degli istituti tecnici superiori (ITS), delle università, e degli enti di formazione e fondi interprofessionali. L’idea è di realizzare un sistema permanente per lo sviluppo delle competenze con accordi fra CPIA, Centri per l’impiego, enti istituzionali e Comuni rivolti a tutti i disoccupati. Altri 7 miliardi saranno investiti nel Progetto giovani, tra decontribuzione per le assunzioni, rilancio delle politiche attive a sostegno delle transizioni occupazionali, rafforzamento dei Cpi, interoperabilità delle banche dati e, infine, contrasto al sommerso e spinta a salute e sicurezza.

Il terzo capitolo tocca l’inclusione sociale (oltre 2 miliardi) e il rafforzamento dell’assistenza domiciliare. Alla parità di genere sono invece destinati 2,4 miliardi all’interno del Cluster Empowerment femminile in comune con “casa” Bonetti. «Dobbiamo impedire il ripetersi del fenomeno che nel 2019 ha visto 37.611 lavoratrici madri lasciare il lavoro anche a causa dell’impossibilità di armonizzare occupazione e cura dei figli», dice Catalfo. Otto, invece, i progetti su tavolo delle Pari opportunità, in parte già avviati nella legge di Bilancio: dal fondo imprese femminili e valorizzazione donne nell’impresa (con particolare riguardo ai rientri dalla maternità e all’acquisizione di competenze Stem) all’introduzione di un sistema di certificazione sulla parità di genere, dall’inserimento delle vittime di violenza sul lavoro agli strumenti di decontribuzione per incentivare il lavoro femminile. Fino ad arrivare alla spinta della cultura digitale per l’inclusione qualificata delle donne, al piano nidi d’infanzia e al family act. Infine c’è il tema, trasversale a tutti i progetti, della valutazione di impatto sulla parità di genere di tutte le azioni del Pnrr. Passando al capitolo digitale, il 20% del Next Generation Eu sarà destinato proprio a questa voce (fino a 40 miliardi). E dunque, in prima linea per utilizzare questo budget ci sarà la ministra Pisano, già impegnata a rispettare la scadenza Ue di febbraio 2021 per l’utilizzo a tappeto nella Pubblica amministrazione di Spid, della Carta di identità elettronica e di PagoPa. Sei le sfide: interoperabilità dei dati, infrastrutture, piattaforme e servizi, sicurezza, competenze digitali e innovazione tecnologica. Anche in questo caso è inevitabile che i tavoli si incrocino con quelli della Pa in mano alla ministra Dadone, come l’obiettivo di lanciare un cloud nazionale per la Pa interconnessa. Anche la titolare del capitolo Innovazione punta tutto (tra 15 e 16 miliardi) su digitalizzazione, formazione e lancio dei Poli territoriali avanzati, spazi di coworking per accogliere i concorsi, garantire spazi di lavoro comune per i dipendenti pubblici, ma anche per la formazione e il lavoro agile. Sarà un’occasione per sfruttare gli immobili inutilizzati del Demanio o confiscati alla mafia. La legge di Bilancio ne prevede uno ogni Regione. Ma grazie al Recovery, ne potrà avere almeno uno per ogni capoluogo di provincia. Infine, c’è il capitolo Politiche Agricole: circa 10 miliardi in gioco, senza contare gli effetti di misure trasversali che arrivano da altri settori. Il “cuore verde” del Recovery a cui tiene molto Bellanova dovrà puntare sulla competitività del settore alimentare, su infrastrutture e logistica per lo sviluppo dell’export delle piccole e medie aziende, sulla meccanizzazione del settore (a partire dall’agricoltura di precisione e dall’ammodernamento di settori come quello dell’olio d’oliva). Lo sviluppo del biometano e la realizzazione di un parco agrisolare sui tetti degli edifici della produzione agricola sarà il centro della strategia sulle energie rinnovabili. Infine c’è la prevenzione relativamente ai fenomeni di dissesto idrogeologico e la gestione forestale sostenibile. Il focus è sullo sviluppo di una filiera foresta-legno-energia, non solo in omaggio alla forte corrente ambientale che ormai domina ogni attività.

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