Sabrina Ferilli: «Eccessive le battaglie del politically correct: usare violenza o parole sbagliate non è lo stesso»

Tutto intorno il centro di Roma parla di Natale. Tutto è intermittente a Natale, come i led, e così ci sta benissimo, per cominciare a parlare con Sabrina Ferilli, una delle attrici di riferimento del nostro showbiz, partire dalle sue luci intermittenti. Un post su Instagram e un video: sembra un’immagine patinata, il Natale perfetto, quasi flou. Poi, alla fine, il colpo di stiletto dell’ironia. Il controcanto che a Sabrina tanto piace fare: una palla bella, l’ultima con su scritto “sticazzi”. Poi, nell’intervista, quasi bruscamente per descrivere il sottofondo di malinconia e amarezza che punteggia la bellezza, la riempie di significati, ecco che Sabrina dice di sé di sentirsi a tratti “inconsolabile”. Come Ramona, il simbolo di Roma ferita e stupenda della Grande Bellezza da Oscar di Sorrentino. Eppoi la madre coraggio che lotta contro i fumi di Taranto. Ma le luci di Natale si riaccendono. E partiamo da qui.

 

 

Torniamo a Instagram, Sabrina?

«Quel finale nel video è il mio stile, non potevano restare solo i gufetti e i Babbi Natale. La libertà di fermarci, quando un lungo pranzo con i parenti porterà l’inevitabile mal di testa: allora stop, pennichella. E leggerezza. Quanta potete».

La scoperta dei social cos’è per Ferilli?

«Ai social sono arrivata sei mesi fa. Pubblico post sulla mia vita artistica molto spesso, è un esperimento per arrivare anche ai giovani e giovanissimi, spiegando chi sono e cosa ho fatto. Però devo dire che le poche cose mirate – da social – mi divertono: l’albero è il mio manifesto. Tutto bello, va fatto come si deve, ma c’è sempre quel momento “sti…”».

Cosa rappresenta per lei l’ironia?

«Emancipazione. Gli argomenti con cui fai ridere oggi per una donna sono stati per una vita tabù: ironizzare su come sei fatta, su quel che ti succede; da sempre si ride sul difetto. È emancipazione sana. È analisi, preparazione, studio delle cose. E la preparazione è educazione, arriva dalla famiglia. Poi ci sono l’intelligenza e la lucidità: quante cose nascoste in una risata…».

Preparazione a cosa?

«Alle svolte della vita: c’è l’età giovanile, quella in cui quando il telefono squilla è sempre qualcosa in più, una conquista. Perfino le delusioni: un posto di lavoro conquistato, un esame superato, un matrimonio, un figlio che nasce. Poi dai 45-50 le telefonate cambiano: ci sono i matrimoni che finiscono, il lavoro che si perde, ci sono le cose che volgono al desìo. E se non sei lucido, se non sai tirare fuori quella pallina di Natale irriverente resti inconsolabile. La mia famiglia mi ha preparato a tutto questo. E io ci ho messo del mio anche per non farmi travolgere da questa ondata».

Quale ondata, Sabrina?

«Il negazionismo, nato prima del Covid: mettiamo tutto e sempre in discussione. Come le battaglie eccessive del politically correct: le parole sono importanti, ma i comportamenti di più. Chi usa violenza fisica è da condannare più duramente di chi sbaglia, anche per cultura, una parola non “corretta”. Io voglio stare attenta ai temi reali della vita, quella vera. Lo dico anche ai giovani attori: studiate, preparatevi tanto ma non solo sui libri. State in mezzo alla gente. Lo dovrebbero fare di più anche le persone che informano e soprattutto i politici, così attratti dalla futilità della polemica da distrarsi dalle esigenze reali».

Un esempio?

«La vicenda esecrabile della pacca alla giornalista: quello va condannato, ma attenzione a capire se siamo sulla strada giusta se lo accusiamo di violenza sessuale. Le cose per le donne sono cambiate tanto e relativamente in poco tempo: ho rivisto di recente il processo alla ragazza stuprata difesa da Tina Lagostena Bassi, quella corte ostile non giudicava tanto tempo fa. In 40 anni io vedo il bicchiere mezzo pieno. Ma temo faccia più fico non dirlo. Io, però, a chi urla alla luna non credo».

Ecco, quello di Empoli è di certo un esempio di cattiva educazione degli uomini.

«Giusto, il tema è urgente. Ma anche la comprensione dei fenomeni tragici di storie recenti: 8 volte su 10 sono ex compagni, mariti, fidanzati e spesso dopo aver fatto stragi familiari si suicidano. È un fallimento per la società ed è una catastrofe per la famiglia. Sicuro che non si possa fare nulla per quegli uomini prima che capitino questi drammi?».

Negli ultimi anni un successo enorme in tv, ma non per fiction. Grazie alla complicità con Maria De Filippi. E a un’intuizione di Lucio Dalla.

«Io e Lucio, la Bella e la Bestia: genialità al servizio di uno degli ultimi grandi show figli della creatività degli autori Rai… Maria… Mica lo sa la gente quanto è imprevedibile, pronta ad assumersi qualsiasi rischio. Danza sul filo, scommette, fa scherzi. Ha un’immagine algida, ma è un vulcano di vitalità».

Come Mara Venier, un’altra amica con cui si trova a suo agio in tv.

«È simpatica, Mara, ama meno l’azzardo, è una donna generosa e spontanea».

In tv a “Tù sì que vales” è un giudice.

«Giudice popolare, giudicare è faticoso, bello, però, vedere quanto talento ci sia in giro: i giovani che vedo in questi reality mi fanno ben sperare per un Paese che a volte mi mette paura».

Ricordando gli anni in cui da Fiano prendeva l’autobus per andare al Liceo Orazio a Roma, quartiere Talenti, un suggerimento alle ragazze.

«I miei non mi hanno educato con Cenerentola. La famiglia deve preparare alle difficoltà del mondo dove appunto trovi di tutto. Per questo ritengo che l’educazione sia tutto, uno dei tanti fallimenti della politica è non riuscire a controllare questi ragazzi sull’obbligo scolastico. Cosa ne sarà di questi ragazzi? E il Sud? Non frequentando nemmeno la scuola, a cosa saranno destinati? Cosa ne sarà di questo Paese tra 30-40 anni tra ignoranza e disoccupazione, dove non si nasce più e dove parlare di flussi di ingresso è ancora un argomento tabù, propagandistico? Vedo un’Italia senza sorriso».

Il sorriso l’ha strappato anche con un film per il quale è stata molto premiata ed elogiata: “Io e Lei”, in cui lei è la sua compagna Margherita Buy. Un amore omosessuale raccontato con grande naturalezza.

«La parola è normalità: con la normalità passano messaggi rivoluzionari. Successe con Raffaella Carrà. E io, normalmente, da qualche anno sto scegliendo ruoli con cui portare alla luce problemi concreti, più che la frivolezza. Capitò quando ho scelto di interpretare la madre di un bambino ammalatosi per le fabbriche di polveri sottili, capitò quando ho interpretato L’amore strappato sugli affidi illeciti e in Io e Lei».

Prossimamente il film di Pieraccioni, Il Sesso degli Angeli. Con Leonardo che fa il prete. E il Papa che quasi assolve i peccati della carne.

«Non mi ha sorpreso la frase del Papa. Ma penso che la Chiesa non deve rinunciare alle sue regole, se vuole sopravvivere. Così come lo Stato, che è laico, ma che troppo spesso se ne dimentica. La confusione è un corto circuito».

Un viaggio tra i ruoli di una vita di cinema e sulle persone determinanti.

«Virzì e Sorrentino, certo, ma anche i 16 anni al Sistina. E Garinei: mi ha aperto un mondo. Con Baudo per Sanremo si è speso lui. Ci sono dei ruoli che segnano una svolta, quelli per me fondamentali: Rosetta in Rugantino, Mirella ne La Bella vita di Virzì e ovviamente Ramona ne La Grande Bellezza. Anche se un capitolo a parte lo merita Commesse in tv».

Cosa mi dice di Ramona de La Grande Bellezza?

«Sorrentino venne da me e mi ha stanato: ero sempre stata una donna di guerra o commedia. Lui mi dice: vedo in te la malinconia. Quell’inconsolabilità lui l’aveva scoperta. E mi dice che io sono Roma laica in un film che è proprio Roma, la mia Roma: sacro e profano, decadenza e rinascita, sentimento e cinismo. Nessuna città è così. Noi nasciamo sui resti, su ossa e tombe che escono. Li avverti sotto i piedi che ci sono. E Roma è così in bilico tra morte e vita».

All’Oscar però non c’era…

«Mi è stato detto che potevano entrare solo due persone. Comunque sia, il dispiacere è andato in prescrizione».

Le donne sono pagate meno degli uomini…

«Non credo, non lo so. Alle donne dico che spesso le conquiste sociali sono conquiste di carattere. Puoi dire no, se una cosa non è giusta, alzare i tacchi e andartene. Non è una perdita, ma una conquista».

“Commesse”, perché è così importante quel capitolo della vita di Ferilli?

«Mi dicevano tutti: no, la tv no. Le attrici avevano la puzza sotto il naso. Oggi la tv si regge sulle donne, personaggi veri che fanno la fiction e gli ascolti al massimo. Ricordo che Commesse faceva 12-14 milioni di telespettatori a serata».

A breve eleggeremo il nuovo presidente della Repubblica.

«Donne pronte ce ne sono da anni».

Torniamo a Roma, anzi alla Roma: del 2001 ricorda di più lo scudetto o lo spogliarello al Circo Massimo?

«Lo scudetto e quella gioia enorme, merito del presidente Sensi: l’ultimo grande presidente della Roma. Per quello spogliarello ricevetti diffide e lettere di minacce di morte. Con i social e il politically correct oggi non sarei arrivata sul palco del Circo Massimo con la bandiera».

L’oggi è Mourinho.

«Ma come mai? Dico, come mai ha accettato: la squadra non è piena di campioni. Lui lo adoro, uomo di intelletto che sa sempre quando urlare e quando tacere. Come fa a non piacerti uno così?».

Di recente ci ha lasciato una grande donna e romana: Lina Wertmüller.

«Un soldato, la testa cristallina. Era l’Emancipazione: mica sentiva di fare qualcosa di straordinario. Non si nascondeva dietro il linguaggio radical chic e del politicamente corretto. Oggi sono diventati soffocanti per il libero pensiero e per un’analisi e salvifica delle cose».

In un libro fotografico raccontava la sua città.

«Gli anni più belli della mia vita, oltre all’infanzia a Fiano, sono quelli del miniappartamento a vicolo della Palomba: il Pantheon, Piazza Navona, Sant’Apollinare. Trenta metri dove tenevo comunque due poltroncine nell’ingresso per farlo sembrare un salottino. In chiesa ci vado: chiedo solo la salute, la cosa che meno dipende da noi. Il resto lo determiniamo noi con le nostre scelte e con la capacità di tirare fuori – al momento giusto – quella pallina di Natale con scritto…».

Buon Natale, Sabrina.

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