Il finto femminista: se colmare il gender gap è giusto ma non troppo

Qui rischiamo di diventare tutti peones solo perché maschi», è lo sfogo nei Palazzi della politica. «Qui finiremo tutti a fare i tecnici di laboratorio e non di più, perché la carriera ormai spetta alle donne e noi stiamo a guardare», dicono nel mondo scientifico dove il camice rosa è sempre stato visto come una minaccia al maschilismo scientifico e al sistema del mandarinato baronale. E ancora: «Saremo tutti retrocessi a praticanti, perché i direttori devono essere direttrici….», si scherza, ma con un paradosso in fondo gonfio di preoccupazione e astio, in qualche redazione di giornale. Tre tremori di genere, in tre ambienti diversi. Anzitutto quello dei partiti e del Parlamento, dove capigruppo (anzi capegruppo) del Pd sono diventate due donne (Debora Serracchiani e Simona Malpezzi) mentre la presidente del Nazareno è un’altra donna, Valentina Cuppi, e la vicesegretaria dem è Irene Tinagli e al bar sotto il quartier generale lettiano i superstiti dell’altro sesso sono disperati: «Lassù c’è il gineceo, e a noi ci fanno portare i cappuccini». E si trema nel mondo della scienza perché, alla presidenza del Cnr, una ministra della Ricerca donna ha scelto per la prima volta – e per competenza e meriti, non per quota rosa e per moda – una donna, Maria Chiara Carrozza. E se alla guida del Cern c’è Fabiola Gianotti a Ginevra, qui c’è la Carrozza nel prestigioso istituto di piazzale Aldo Moro. E perché si piagnucola in qualche redazione? Perché la giornalista Alessandra Galloni, che già era in predicato di diventare direttrice di un importante quotidiano italiano, è stata chiamata alla guida dell’agenzia Reuters, posto di prestigio internazionale che farebbe gola a tanti colleghi inconsolabili: «Dicono che è brava. Ma tu ci credi?». Il maschio falso femminista non se la sta passando molto bene, dunque, in questa fase. Perché gli è venuto meno il gioco che conosce meglio e che pratica quasi con naturalezza. Tifare donna, perché così si fa e così conviene per motivi d’immagine, e appoggiarne a parole o a slogan («Giusto il ricambio, anzi la Rivoluzione. Ed evviva le pink panther») la scalata al potere. Ma incrociando le dita, dentro le tasche dei pantaloni, perché non si realizzi. Quando il falso sogno si avvera, non è facile nascondere la delusione. «Sempre loro, quelle carrieriste, quelle arpie, ma chi si credono di essere?!». Di colpo la meritocrazia, appena il falso femminista si accorge che premia indistintamente senza badare alle appartenenze sessuali, diventa ai suoi occhi un oltraggio e non più la nuova frontiera della modernità. Si trasforma in un imbroglio («Meritevole? Ma quella è lì solo perché donna!») e non vale più come un criterio accettabile e doveroso. Insomma colmare il gap di genere è una cosa bellissima. Ma non vi azzardate!

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Potrebbe interessarti anche

Articoli correlati