Una rabbina, tre imam e una pastora: «Spazio alle donne sul pultito»

E se fosse tutto un equivoco, un banale errore di traduzione? Se non fosse mai stata creata da una «costola» di Adamo, ma creata «accanto» a Adamo?

Non c’è parola, frase, paragrafo, fosse pure quello che racconta uno degli episodi più noti della Bibbia, che Delphine Horvilleur non ami rimettere in discussione. Figuriamoci poi se si tratta della storia di Eva. È questo, continua a ripetere Delphine il vero lavoro di un rabbino: «Interpretare, interpretare, interpretare, fare da tramite tra il testo e l’umano. Il rabbino è un traduttore». Il posto della donna nel pensiero (e nelle gerarchie) delle religioni «batte dove il dente duole» ha detto poco tempo fa in un’intervista, in cui parlava a due voci con la “collega” musulmana, l’imam franco-algerina Kahina Bahloul: «Finché non riusciremo a dare spazio alle donne nel pensiero religioso, non riusciremo a dare spazio agli “altri”: i non praticanti, i non credenti, le coppie miste, gli omosessuali…».

IL PERSONAGGIO

Delphine Horvilleur è una delle cinque donne rabbino di Francia, sicuramente quella che si sente, si vede e si legge di più: nella sua sinagoga nel quindicesimo arrondissement, uno dei templi dell’ebraismo liberale, sulla copertina di Elle, in libreria – il suo ultimo libro, “Convivere con i nostri morti”, è in cima alle classifiche – intervistata nei tg, in convegni religiosi, economici, filosofici dirige il trimestrale Tenou’a, un “atelier di pensiero ebraico”, è attiva sui social, come @rabbidelphine. Ha 47 anni, tre figli, molta ironia, solida cultura, eloquio facile, una bellezza piena, solare, magnetica. Iscritta a Medicina in Israele, è stata giornalista in Francia, ha studiato il Talmud a New York, «Poi un giorno un rabbino mi chiese: “Perché non diventi rabbina?”, io mi misi a ridere, lui no. E ho capito che l’idea non era necessariamente una battuta». Dal 2008, nella sinagoga di Beaugrenelle Rabbi Delphine celebra matrimoni, funerali, bar-mitsvah, Shabbat. Ormai c’è una generazione che ha conosciuto soltanto un rabbino donna: «Ogni anno c’è sempre qualche ragazzino che viene a dirmi: “Che peccato che rabbino sia un mestiere per le donne!”. A riprova che gli stereotipi attecchiscono ovunque con facilità». E smontare gli stereotipi – che siano frutto di errori di traduzione millenari o tradizioni considerate inappellabili – occupa gran parte delle giornate di Delphine. «L’unica risposta che posso dare a chi mi accusa di essere infedele, è che appartengo a una tradizione il cui primo compito è proprio interrogare la tradizione. Il vero infedele è colui il quale rifiuta di porre questioni alla tradizione. Chi non riflette al modo in cui un testo sarà recepito in un nuovo ambiente e in un nuovo tempo condanna quel testo a morire, schiacciato dalla sua immobilità».

PIONIERE

Accuse di infedeltà piovono anche sulle tre imam donne che si contano ormai in Francia. Pioniera è stata Kahina Bahloul, 41 anni, nata a Parigi, padre berbero algerino della Cabilia, madre atea, di educazione cattolica e nonna ebrea, studi di Diritto, un lavoro in una Compagnia di assicurazione, poi dottorato in Islamologia. Cercava in Francia un luogo dove praticare l’islam trasmesso dal padre, «un islam fatto di umanesimo, in cui il dogma non soffoca la riflessione e la tradizione convive con la modernità», non l’ha trovato e se lo è fatto da sola: nel 2019 ha creato una moschea, “Fatima”, dove uomini e donne pregano insieme (anche se non mescolati, perché «ci può essere imbarazzo al momento della prosternazione») e il velo non è obbligatorio. Kahina riceve regolarmente insulti e minacce ma è convinta che la stragrande maggioranza (più silenziosa) dei musulmani francesi (più di 5 milioni) cercano il “suo” di Islam, non quello fondamentalista dei salafiti. «Niente nel Corano vieta a una donna di dirigere la preghiera. In realtà il Corano non evoca la funzione di imam come la conosciamo oggi. In compenso una parola del profeta mostra che una donna, Oum Waraqa, è stata indicata da Maometto per guidare la preghiera».

MODERNITÀ

 La prima preghiera guidata da un’imam donna si è svolta nel 2005 negli Usa, nel mondo arabo ancora non ce ne sono. In Francia, subito dopo Kahina, sono arrivate anche Anne Sophie Monsinay e Eva Janadin, francesi convertite all’islam, entrambe insegnanti, cofondatrici della moschea Simurg, l’uccello mitologico che nei versi del poeta Attar rappresenta l’unione del cielo e della terra, l’unico capace di riconoscere il sé profondo. Le due trentenni, entrambe senza velo, «vogliono offrire ai musulmani la possibilità di una via spirituale fondata sulla ricerca personale e pratiche libere, non obbligatorie». E sono determinate a far sentire la loro voce non soltanto durante la preghiera per Allah il grande, ma anche sui media: «Di fronte alle derive dogmatiche, comunitarie e conservatrici, i credenti che si riconoscono nei valori progressisti e in un islam spirituale e non identitario non possono più stare zitti». Coincidenza o segno dei tempi, una donna è da quattro anni anche alla guida dei protestanti francesi. La pastora Emmanuelle Seyboldt, 51 anni, è la prima donna a dirigere il Consiglio Nazionale della Chiesa protestante unita di Francia. Non si era nemmeno candidata, ma il suo nome si è imposto naturalmente: «Mi considero in sintonia con un protestantesimo che non teme le idee che l’epoca contemporanea produce», dice. In sintonia anche con le sue “colleghe”. 

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