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50 anni di divorzio: da Luisa Benassi all’ex ministro Grillo ecco le “coppie scoppiate” simbolo

50 anni di divorzio: da Luisa Benassi all'ex ministro Grillo ecco le
50 anni di divorzio: da Luisa Benassi all'ex ministro Grillo ecco le "coppie scoppiate" simbolo

IL PIU’ COSTOSO

È il divorzio più costoso della storia: Mackenzie Bezos, ex moglie del fondatore di Amazon, Jeff Bezos, è ora una delle donne più ricche al mondo. Dopo i tradimenti e il dolore, lei ha concesso all’ex marito tutti i suoi interessi nel «Washington Post» e in Blue Origin, oltre al 75% delle azioni che erano condivise in Amazon. Alla donna è andato il 25% dei titoli, ovvero il 4% di Amazon: una quota da 36 miliardi di dollari.

IL PRIMO IN ITALIA

Ma è Luisa Giorgia Benassi è la prima donna divorziata d’Italia. Era il 29 dicembre del 1970, Luisa aveva 25 anni e un figlio di 7: il tribunale di Modena applicava per la prima volta la legge 898. Modenese, ha raccontato di quanto sia stato difficile fare quella scelta: «Mi consideravano una donnaccia». Luisa (nel riquadro della foto Ansa dell’epoca, accanto a una coppia di sposi che vota al referendum) si è poi risposata.

SENTENZA STORICA

Una sentenza rivoluzionaria quella emessa il 10 maggio 2017 dalla Cassazione sul divorzioGrilliLowenstein. L’ex ministro dell’Economia non doveva più pagare l’assegno di mantenimento all’imprenditrice Lisa Lowenstein. I supremi giudici hanno respinto il ricorso con il quale l’ex moglie reclamava l’assegno di mantenimento: Grilli non aveva più lo stesso tenore di vita di prima.

50 anni di divorzio, i matrimonialisti: «Adesso vanno introdotti i patti prematrimoniali, un pre accordo come nell’antica Roma»

50 anni di divorzio, i matrimonialisti: «Adesso vanno introdotti i patti prematrimoniali, un pre accordo come nell'antica Roma»
50 anni di divorzio, i matrimonialisti: «Adesso vanno introdotti i patti prematrimoniali, un pre accordo come nell'antica Roma»

Ho combattuto in piazza per la legge sul divorzio. Avevo 18 anni, all’epoca si diventava maggiorenni a 21, andavo ovunque si parlasse del tema. Sono entrata in conflitto con tutte le mie compagne cattoliche perché ero a favore della legge ma, prima che fosse introdotta, il matrimonio poteva essere una condanna a vita». L’avvocato Annamaria Bernardini de Pace ricorda così la battaglia fatta nel Paese per arrivare all’entrata in vigore della legge sul divorzio, il primo dicembre 1970. La legge Fortuna-Baslini divise l’Italia, sia negli anni precedenti alla sua introduzione, con lo scontro tra favorevoli e contrari, sia negli anni immediatamente successivi, tanto da portare, nel 1974 al referendum abrogativo, che la mantenne in vigore. «Ricordo bene l’emozione quando è stata approvata la legge sul divorzio ma anche quella che ha accompagnato il tentativo di revocarla, con il referendum – racconta l’avvocato Cesare Rimini, presidente onorario Ami-Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani – Il presidente della sezione nona del Tribunale, magistrato molto aperto ideologicamente, lavorava giorno e notte, per fare i divorzi proprio perché se anche ci fosse stata l’abrogazione della legge, non sarebbero state annullate le sentenze precedenti». Per molti, in particolare per le donne, l’introduzione del divorzio rappresentò una vera liberazione, seppure “tardiva”. «L’Italia è sempre stata il fanalino di coda nel diritto di famiglia in Europa – commenta l’avvocato Gian Ettore Gassani, presidente Ami – sul divorzio siamo arrivati con grande ritardo rispetto ad altri Paesi. Nel nostro Paese il matrimonio riparatore non era considerato immorale, ma era ritenuto tale andare in tribunale per dire “basta”. Il delitto d’onore è stato abrogato nel 1981. La legge sul divorzio ha segnato una grande rivoluzione. È stata comunque applicata poco fino a metà anni Ottanta. Molti rimanevano separati a vita».

LE RIFORME

«Nel nostro Paese l’istituto del divorzio ha faticato a vincere le resistenze cattoliche, legate al dogma dell’indissolubilità del vincolo matrimoniale – dichiara l’avvocato Marco Meliti, presidente nazionale Dpf-Associazione Italiana di Diritto e Psicologia della Famiglia – e se inizialmente, è stato figlio dell’affermazione dei movimenti di emancipazione femminile per un’effettiva uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con il passare degli anni l’istituto ha finito per rappresentare un termometro della rivoluzione sociale derivante dalla previsione di nuovi modelli di famiglia accanto a quella tradizionale». «La legge sul divorzio – afferma Bernardini de Pace – ha segnato una grande rivoluzione per tutti, si pensi ai molti omosessuali un tempo costretti a sposarsi per nascondersi». Le riforme, nel tempo, non sono mancate, eppure la strada è ancora lunga. «Andrebbero introdotti i patti prematrimoniali, che peraltro esistevano già nell’antica Roma», dice Gassani. «I tempi del divorzio erano lunghissimi – dichiara Rimini – si sono accorciati, ma è un po’ ridicolo che prima si debba fare la separazione, poi il divorzio. Si potrebbero far risparmiare soldi ai cittadini e tempo ai magistrati, eliminando il passaggio della separazione». Dalla legge alla quotidianità. «È probabile – conclude Meliti – che la crisi economica generata dalla pandemia possa fungere da acceleratore di dissapori esistenti nella famiglia, spingendo verso la rottura del matrimonio. La crescente incertezza per il futuro, di contro, però, porterà a valutare con maggiore prudenza l’idea di porre fine al vincolo matrimoniale, nella consapevolezza che è un lusso spesso riservato solo alle coppie più abbienti».

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50 anni fa il divorzio divenne legge. L’avvocato matrimonialista Marzia Sperandeo: «Io figlia della libertà»

50 anni fa il divorzio divenne legge. L'avvocato matrimonialista Marzia Sperandeo: «Io figlia della libertà»
50 anni fa il divorzio divenne legge. L'avvocato matrimonialista Marzia Sperandeo: «Io figlia della libertà»

Ti picchia, ma è tuo marito. Ester confidava alle sorelle le sue sere di dolore, quando lui tornava a casa ubriaco e dallo sguardo capiva come sarebbe andata, e finiva sempre così. Ester piangeva, mostrava i segni. Ma è tuo marito, le ripetevano, devi tenerteli gli schiaffi. Italia, anni Cinquanta. Quando il matrimonio condannava le mogli al silenzio e le ferite era meglio nasconderle. Colpevoli, anche da vittime. L’hai sposato. Prima c’era il padre poi arrivava un altro uomo ad alzare le mani. E non fiatare. «Fino a 50 anni fa una donna che subiva violenza non poteva separarsi. Mia madre ha sopportato per anni le botte del primo marito. Lui la picchiava, anche davanti alla figlia che a volte si metteva tra di loro per difenderla. La legge sul divorzio era ancora lontana. Per separarsi lei ha dovuto assumersi la colpa, subire la denuncia per adulterio. Non c’era altra strada per le donne, a quel tempo». La paura, il silenzio e la solitudine di Ester. La vergogna di vivere con il marchio moglie cattiva e infedele, lei che voleva solo salvare se stessa e la sua bambina. C’è tutto questo nella scelta di Marzia Sperandeo di diventare avvocato matrimonialista. Un’ingiustizia da riscattare, «un tributo a mia madre che con grande coraggio si è messa contro tutti». Il marito, le famiglie, la società. «Ma ha dovuto aspettare tanti anni ancora per poter ricominciare un’altra vita, rompere definitivamente quel matrimonio infelice e sposare un altro uomo. Io sono figlia della legge sul divorzio».

A FAVORE E CONTRO

La rivoluzione fa 50 anni. Dopo 110 Paesi e a 110 anni dall’unità, il primo dicembre del 1970 arriva il divorzio anche in Italia. Passa la legge 898 che porta la firma dei deputati Loris Fortuna, socialista, e Antonio Baslini, liberale. Vota a favore tutta la sinistra (Psi, Psiup, Pci, Psdi), i repubblicani e i liberali. Contro la Democrazia Cristiana, il Movimento Sociale Italiano, la Sudtiroler Volkspartei e i monarchici. “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio”, recita il testo che segna la fine di un’epoca, quella delle fedi come catene. Ci provano, 4 anni dopo i “controrivoluzionari” a fermare la storia con il referendum, il 12 e il 13 maggio 1974 si vota: vince il no (il sì fermo al 40,7%).

La legge Fortuna-Baslini resiste, adesso è mezzo secolo di libertà. «In cinquant’anni è cambiato il mondo e ancora dovrà cambiare», l’avvocato Sperandeo, 46 anni, nata e vissuta a La Spezia, è presidente del distretto Ligure dell’Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani. «Eppure è ieri che le donne erano trattate dal diritto di famiglia come nullità, il marito era il capo, a lui era riconosciuta la potestà maritale. Le mogli per separarsi dovevano rischiare la denuncia per adulterio, che valeva solo per le donne, e il carcere, come mia madre. Per gli uomini esisteva l’accusa di concubinato».

LE NOZZE DI ESTER

Si era sposata appena diciottenne, Ester, nel 1953. Dodicesima di 13 figli, per la famiglia un sollievo liberarsi di lei. Il marito era un marinaio civile di 21 anni, si imbarcava sui mercantili, lei lo conosceva appena. Non sapeva, quel giorno con l’abito bianco, che lui faceva abuso di alcol e diventava violento. Non sapeva, quella mattina di festa, quanto avrebbe odiato la sua casetta da sposa dove lei piangeva urlava e si proteggeva il viso, basta. Gli scatti d’ira, anche quando lei era incinta. Ti prego, basta. «Ma era uno scandalo per una moglie maltrattata lasciare il marito. Mia madre ha avuto la forza e il coraggio di affrontarlo. Nel 1960 l’ha lasciato». «Fu denunciata, dovette rinunciare alla figlia di 5 anni, il padre volle che restasse con lui», racconta l’avvocatessa. «Colpevole per la legge e punita con la perdita della sua bambina. Poi conobbe mio padre, un militare del reparto speciale della Marina. Un amore clandestino. Era impossibile per un uomo in divisa avere una relazione con una donna sposata, i comandanti non dovevano scoprirlo». Bugie lunghe dieci anni per difendersi dalle chiacchiere della provincia e dalle punizioni dei superiori. «Mio padre dormiva con mia madre e la mattina all’alba si presentava in caserma facendo finta di aver passato la notte lì. Poi è arrivata la legge sul divorzio e il 27 aprile 1972 si sono sposati. Due anni dopo sono nata io».

«Ecco, vedi: è quello che succedeva a me», Ester era ormai anziana. Guardava in tv il film “Via dall’incubo”, con Jennifer Lopez massacrata di botte dal marito, e stringeva la mano alla figlia. «Il suo grande dolore è stato l’allontanamento della prima figlia, che, seppur ritrovata, non riusciva più a chiamarla “mamma”. La vera vittima incolpevole di una società e di una legge ingiusta. Voleva sposarsi in chiesa, dopo il matrimonio civile, quando morì il primo marito. Non ha fatto in tempo, se ne è andata nel 2007». Cinquant’anni, la rivoluzione non si è più fermata. La legge 898 ha subito varie modifiche. Cosa c’è ancora da cambiare? «Il diritto di famiglia è perfettibile, direi che non è la legge nel merito che andrebbe migliorata ma il sistema del processo. La macchina della giustizia dovrebbe essere più veloce ed efficiente. Non si può aspettare 4 mesi per l’udienza di una separazione giudiziale, lo abbiamo visto durante il lockdown quanto rischia una donna a restare in casa con un marito violento». Ed è cronaca di ieri, non di 50 anni fa.

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Covid, ecco i dream team di scienziate che lavorano in trincea contro il virus

Covid, ecco i dream team di scienziate che lavorano in trincea contro il virus
Covid, ecco i dream team di scienziate che lavorano in trincea contro il virus

In principio sono state tre ricercatrici dell’Istituto Spallanzani di Roma. Era febbraio, del lockdown ancora non si parlava. Maria Luisa Capobianchi, alla guida del laboratorio, con Francesca Colavita e Concetta Castilletti hanno isolato, per la prima volta in Europa, il nuovo coronavirus.

 Passo fondamentale per sviluppare terapie e vaccino. Dopo di loro, un lungo elenco di team dream al femminile che combatte contro il Covid-19. Pubblicano ricerche e presentano nuovi lavori ma, le luci della ribalta, non le inquadrano quasi mai. Pensiamo a Daniela CarmagnolaElisa Borghi, Valentina Massa e Claudia Dellavia della Statale di Milano che hanno messo a punto un test con la saliva. Obiettivo: capire in poco tempo se un bambino («Ci abbiamo pensato durante l’estate quando ipotizzavamo il ritorno a scuola dei nostri figli» raccontano) è stato contagiato dal virus o ha un normale raffreddore. Sperava di riuscire a mettere a punto un farmaco anti-Covid prima del vaccino Laura Riva, 35 anni bergamasca ricercatrice dell’Università del Texas, ma purtroppo non ci è ancora riuscita. Per sei mesi ha lavorato venti ore al giorno per raggiungere la meta. I suoi sforzi sono stati comunque riconosciuti dal momento che pochi giorni fa è stata informata di essere tra le venti vincitrici del premio Stat dell’Anderson Center dell’ateneo texano deciso da Anthony Fauci e Bill Gates. La genetista brindisina Tina Cafiero è il principale ricercatore investigator del primo studio tutto italiano che affronta la tematica della medicina di precisione nell’ambito della terapia contro il Covid-19 promosso, tra gli altri, dall’ospedale Moscati di Taranto con l’Università Cattolica di Roma e quella di Bari. Mentre un gruppo di ricercatrici dell’Istituto Sacro Cuore Don Calabria nel Veronese lavora in collegamento con il team della virologa Ilaria Capua indagano sul perché il coronavirus colpisce più gravemente gli uomini.

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Maria Triassi, prima preside di Medicina alla Federico II: «In guerra contro il Covid non si può andare senza soldati»

Maria Triassi, prima preside di Medicina alla Federico II: «In guerra contro il Covid non si può andare senza soldati»
Maria Triassi, prima preside di Medicina alla Federico II: «In guerra contro il Covid non si può andare senza soldati»

«Le quote rosa non mi sono mai piaciute. I posti al vertice devono essere occupati per competenza e professionalità. E se la mia nomina arriva subito dopo quella di Antonella Polimeni sullo scranno più alto della Sapienza di Roma, non può che farmi piacere».

Maria Triassi – direttrice del Dipartimento di sanità pubblica – è il nuovo preside della scuola di Medicina e Chirurgia della Federico II di Napoli. Quasi un plebiscito per lei: 61 preferenze su 72 votanti, sette schede bianche e quattro nulle. Un trionfo e un invidiabile primato: quello di essere la prima donna nella lunga storia dell’antica università partenopea – insieme con Rita Mastrullo, appena diventata prorettrice – a raggiungere la vetta. Bella soddisfazione. «Certo. E non per una questione di genere. La mia elezione rappresenta un riconoscimento alle competenze, agli anni di duro lavoro e alla capacità di ricoprire ruoli di gestione. Null’altro».

Quale sarà la sua strategia nel governo della Facoltà in tempi di pandemia?

«Il Covid ha messo in evidenza l’importanza di essere pronti, flessibili e formati per ogni evenienza. Una delle ragioni che ha mandato in tilt l’intero sistema – e non parlo solo del nostro Paese – è stata questa: farsi cogliere impreparati».

Ha già un piano?

«Il lavoro è tanto ma sono pronta a farlo. In un’epoca così difficile c’è un gran bisogno di persone che abbiano gli strumenti giusti per provare a sperimentare un nuovo approccio a valle della pandemia».

Dove si comincia?

«Mi pare che a soffrire di più siano stati il mondo della scuola, quello dell’università e della giustizia. Istituzioni da valorizzare e invece svuotate nel tempo di ogni risorsa: al momento opportuno si sono ritrovate a combattere senza armi. Difficile vincere così».

Ha parlato di preparazione e formazione.

«Diversamente non si va da nessuna parte. L’università in genere deve cambiare passo se vuole contrastare la concorrenza degli atenei privati e telematici sempre più agguerrita».

A cominciare dalla didattica.

«Non sarà facile reggere all’urto della pandemia. C’è bisogno di innovazione valorizzando l’apprendimento interattivo. Servono giovani sempre più preparati, dobbiamo formare professionisti abili e capaci. E i policlinici universitari hanno ancora molte carenze da colmare».

Da quale punto di vista?

«Dagli spazi da ristrutturare agli organici sempre più esigui mentre è indispensabile reclutare professionisti di alta qualità. Per quanto mi riguarda dovrebbero cambiare pure i criteri di scelta dei manager».

Mancanza di ricambio generazionale, insomma.

«Va detto che per decenni la sanità pubblica ha patito il blocco delle assunzioni. Ora però dovranno venirci incontro per superare lo stallo in cui siamo finiti. E le temporanee assunzioni dei neolaureati pagano il prezzo della scarsa esperienza. Non si può andare in guerra senza soldati».

Una “guerra” contro un virus ad alta pericolosità. Come valuta le misure di sicurezza messe in campo?

«Secondo me – mediamente – rappresentano un buon compromesso tra prevenzione e contagio. L’obiettivo deve essere quello di non distruggere la psiche delle persone e l’economia».

Se dipendesse da lei che cosa farebbe per contrastare l’emergenza nel Paese?

«Tre misure buone per tutte le regioni. Prima: utilizzo massiccio dei tamponi rapidi. Seconda: garanzia di una seria assistenza territoriale per i pazienti Covid. Terza: mai trascurare le altre patologie che il virus non ha certamente cancellato. Così facendo si sono salvati il Lazio e il Veneto».

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Francesca Russo, la dottoressa siciliana che salvò il Veneto dal Covid restando lontano dalla tv

Francesca Russo, la dottoressa siciliana che salvò il Veneto dal Covid restando lontano dalla tv
Francesca Russo, la dottoressa siciliana che salvò il Veneto dal Covid restando lontano dalla tv

Prima dei Crisanti, prima dei Palù, dei Galli, dei Pregliasco e degli altri virologi che imperversano sulle pagine dei giornali e nelle Tv. Molto prima dello scoppio della pandemia, Francesca Russo aveva previsto l’arrivo del virus che avrebbe poi messo in ginocchio il mondo intero. E aveva intuito che per cercare di contenerne gli effetti devastanti bisognava mettere subito in piedi una task force, pronta a intervenire al primo contagio. Così è stato, e se il Veneto a livello internazionale è citato come un esempio di cosa si deve fare per arginare il Coronavirus, lo deve a lei, un’elegante signora che ama indossare collane variopinte e orecchini brillanti, che ha lunghi capelli biondi ondulati, un viso dolce, ma competenze di altissimo livello e un carattere da bulldozer. Insomma una Angela Merkel della sanità.

L’IMPEGNO

Nata a Bronte, centro del catanese noto per i pistacchi, ma veneta di adozione, Francesca Russo a 55 anni guida il Dipartimento di Prevenzione del Veneto. Aveva dichiarato guerra al Covid già a inizio febbraio, con almeno venti giorni di anticipo rispetto al “debutto” dei primi due contagi a Vo’ Euganeo, paesino collinare alle porte di Padova balzato all’attenzione degli scienziati di ogni continente proprio per come la pandemia sia stata dominata grazie alle scelte tempestive e azzeccate, basate su quel piano che lei aveva predisposto. Vo’ è finito persino sulle pagine di “Nature”, come il Comune dove è stato fatto il primo campionamento, con la popolazione in isolamento totale per 14 giorni e sottoposta a tampone per due volte, per raccogliere informazioni capillari su contatti e contagi. «Solo localizzazione e contact tracing servono a contenere la pandemia», aveva spiegato da subito incassando il plauso del governatore Luca Zaia, il quale aveva riconosciuto in pieno i suoi meriti e il fatto che nel Nordest sia una donna, nonostante i mille input che arrivano dai virologi che contrariamente a lei amano esternarli in televisione, a dettare le linee guida su quello che si deve fare. «La madre di tutto ciò che oggi viene citato come il modello vincente del Veneto è solo Francesca Russo», ha sancito Zaia durante una delle dirette quotidiane che vede presente anche la virologa. È anche in un diario distribuito agli studenti elementari ora è disegnata anche lei, bionda e in camice bianco: «Devo dire che mi hanno illustrata bene», sorride. Il segreto del suo lavoro? «In prima battuta, la ricerca dei positivi per cerchi concentrici. È stato il nostro modo di operare, stabilito già a metà gennaio quando avevamo mandato una nota alle Ulss chiedendo come stavano quanto a dispositivi di protezione individuali e letti».

OSTACOLI

Nonostante avesse previsto lo scenario e suggerito a Zaia le contromisure poi messe in atto con successo, non è stato un periodo in discesa per la responsabile del Settore Prevenzione del Veneto, che oltre che medico è anche moglie, mamma e figlia: mesi e mesi lontano dalla famiglia perché l’effettivo domicilio era ormai l’ufficio di Venezia, con un perenne stato ansioso dovuto all’allerta della situazione, senza potersi curare più di tanto, mangiando male e finendo per accumulare qualche chilo fuori programma. Ma sacrifici e rinunce sono stati in buona parte compensati dalla soddisfazione di vedere che tutte le indicazioni che arrivavano dalla Regione risultavano condivise da un’intera squadra, Unità di crisi compresa. Senza chiacchiere, dietro le quinte, ignorando le polemiche ma con fermezza quando proprio a “Nature” ha inviato una lettera per confutare e correggere proprio Crisanti che si era attribuito i meriti della strategia veneta. Ma con modestia, parlando sempre al plurale: «Il Veneto – spiega – è riuscito a esprimere una grande organizzazione per l’emergenza, presente già prima del Covid, che si aggiunge a competenze e a senso di responsabilità di tutti. Dopodiché la fortuna è come il sale in cucina: q.b.». Quanto basta.

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Emma Marrone: «Diamo più peso a quello che fanno le donne. Figli? Per ora preferisco il rock, magari congelerò gli ovuli»

Emma Marrone
Emma Marrone

«L’Italia non è ancora pronta per chi si mostra senza paura dei pregiudizi». E forse non lo è neanche per chi come lei è «sincera anche a costo di non piacere». Perché Emma Marrone, 36 anni, salentina «felicemente romanizzata», cantante, neo-attrice, 5 milioni di follower su Instagram, in vita sua non si è mai nascosta. Neppure dal bancone di X Factor dove (unica) giudice donna ha detto come sempre quello che pensava beccandosi una valanga di critiche. L’ultima? «Un tizio mi ha scritto “Sei un cesso”. Come se le donne potessero essere attaccate solo sull’aspetto e mai sul loro pensiero».

Le fa rabbia?

«Quando Blue Phelix, concorrente gender fluid, è stato eliminato ho detto che non siamo pronti per certe cose e mi riferivo proprio a questo. X Factor è una gara, l’eliminazione ci sta. Ma quando di un cantante non si parla del modo in cui canta e si leggono solo insulti tipo “frocio”, non ci sto. È come quando una donna parla in pubblico e la gente fa commenti solo sulle tette. Volevo difendere la sua umanità».

Per quali altre cose l’Italia non è pronta?

«Le cose cambiano se iniziamo a cambiare noi la visione delle cose. In Italia cominciano ad esserci tante donne al potere, nelle aziende, in politica. Ma quanto se ne parla? Bisogna cominciare a dare il giusto peso a quello che fanno realmente le donne in Italia. Posizionarci al fianco degli uomini, né avanti né indietro».

Qual è secondo lei la qualità fondante di una donna?

«Nella mia vita gli esempi sono sempre stati importanti. Mia madre è una bella donna che però non ha mai puntato sull’esteriorità, andava in giro con un filo di rimmel, ma quando parlava lei zitti tutti. È sempre stata una figura enorme, una che si è sempre esposta. Questo è stato il mio esempio di femminilità. Io credo che la cultura ci renda liberi, perché più cose sappiamo e conosciamo meno ci possono prendere in giro».

Lei è testimonial di una campagna che invita a “fare un passo avanti” per ribellarsi alle discriminazioni nei confronti delle donne. Con quali pregiudizi ha dovuto combattere?

«Ero una bionda che aveva vinto un talent (Amici nel 2009) e quando parlavo la gente si chiedeva: “Ma cosa vuoi che ne capisca questa?”. Una donna può parlare di moda, vestiti o trucchi, ma guai ad affrontare temi più seri. Mi dicevano non durerai, dopo 10 anni eccomi qui».

Ha combattuto con un tumore all’utero dichiarando che una donna è donna anche senza figli.

«Sono contenta di stare a Natale con pochi parenti per evitare domande tipo: “Ma un fidanzato?”, “Bambini?”. Io non voglio figli ora, devo fare ancora un sacco di rock’n roll. La maternità non è un obbligo. Ognuno ha il suo percorso. Può succedere che una donna voglia dedicarsi a se stessa. E poi anche l’età delle madri è cambiata. Oggi abbiamo la possibilità di congelare gli ovuli e conservarli».

Lei lo farebbe?

«Assolutamente sì».

Sull’amore ha detto: “Non voglio un uomo che mi completi perché io mi completo già da sola”

«Oggi le donne studiano, viaggiano, sono indipendenti. Difficile trovare uomini che accettano questo, io li terrorizzo. Ma so che da qualche parte c’è uno alla mia altezza (ride)».

Che rapporto ha con il suo corpo?

«Il mio corpo cambia ogni due giorni, nell’armadio ho dalla taglia 38 alla 44. Ormai me ne frego quando certi giornali titolano “Emma burrosa”, ho le macchie embè? Ma ci sono ragazzi che per certi commenti stanno male. Io credo che sui social dovrebbero tutti avere la spunta blu di riconoscimento per evitare profili fake».

A volte le donne sono le prime nemiche delle donne. Ha amiche vere nel mondo dello spettacolo?

«Moltissime. Io amo le donne. E poi quando ci mettiamo insieme, ragazzi, non ce n’è per nessuno».

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L’analisi di Maria Latella: «Kamala Harris e le altre leader non conquistano le giovani ancora fragili»

L'analisi di Maria Latella: «Kamala Harris e le altre leader non conquistano le giovani ancora fragili»
L'analisi di Maria Latella: «Kamala Harris e le altre leader non conquistano le giovani ancora fragili»

Mai nella storia dell’umanità le donne hanno avuto tanta voce, visibilità e potere. Eppure, tutte queste foto, i commenti, le interviste in TV e il semi-unanime coro di consensi non riescono a cancellare un tarlo, una domanda a cui per ora non so dare risposta. A chi parlano davvero tutte queste nuove regine della scena mondiale? E siamo sicuri che riusciranno ad arrivare al cuore (e all’immaginario) delle quindicenni che saranno le donne di domani? Le nuove regine del potere globale soppianteranno il modello principessa delle favole, Cenerentola che sposa il principe azzurro?

GLI ESEMPI

Gli Stati Uniti avranno alla Casa Bianca la prima donna vicepresidente, Kamala Harris, al tesoro ci sarà Janet Yellen, e anche questa è una prima volta. Perfino la Cia avrà una donna a capo, e dovrebbe essere Avril Haines. In Europa, da mesi non si fa che parlare di come un tris di donne, Ursula von der LeyenAngela Merkel e Christine Lagarde, abbia impresso una svolta storica all’Unione europea, passata dal rigorismo arcigno alla materna preoccupazione per il futuro delle nuove generazioni provate da un anno di pandemia. Ho citato solo alcune, ma l’elenco si allunga ogni giorno. I Nobel per la scienza vanno alle donne, nei durissimi mesi del Covid 19 sono state e sono ancora le donne in prima linea negli ospedali, medici e infermiere. Donna è la scienziata italiana più famosa del momento, Fabiola Gianotti, riconfermata al Cern di Ginevra per il secondo mandato. Appena c’è la possibilità di parlarne tutti, me compresa, ricordiamo alle ragazzine che i lavori del futuro passeranno per la conoscenza delle materie Stem, scienza, matematica, fisica. Parliamo, scriviamo, raccontiamo…Ma a chi? A quante davvero arrivano questi messaggi che in apparenza dovrebbero dischiudere alle nostre adolescenti magnifiche sorti e progressive? E siamo sicuri che i due mondi, quello delle role model planetarie, le economiste, le astronaute, le ministre e le premier e quello delle ragazzine “normali”, quelle che da Instagram e da Tik Tok ricavano il massimo di informazione, si incontreranno mai? Se dovessimo basarci sulle cronache verrebbe da rispondere di no. Le cronache continuano a fornirci storie di donne fragili. Fragili a tutte le età. Madri di famiglia che nonostante reggano spesso il peso di tutto e di tutte, hanno paura del maschio che le picchia o le abusa verbalmente.

I DISVALORI

Diciottenni che scambiano la dipendenza dalla cocaina per “un modo di divertirsi” così consegnando se stesse al primo predatore che passa. La giovanissima che ha rischiato la pelle per essere finita su “Terrazza Sentimento” del predatore tossicomane Alberto Genovese (è stato lui ad ammettere la dipendenza) è vittima del maschio, certissimo, ma, diciamola tutta, è vittima anche di una visione condivisa di quel che oggi viene considerato “divertimento” o successo sociale. Dal suo racconto reso ai magistrati: “Faccio la modella. Ho appena finito gli studi. Quella sera, fino alle 22.30 mi sono divertita, ballando e consumando la droga che girava alla festa”. Divertimento equivale a ketamina. Successo è essere invitata da un quarantenne miliardario che, non facciamo gli ipocriti, tutti sapevano essere molto tossico e poco rispettoso delle donne. Non sto dicendo che tutte le diciottenni devono puntare a diventare Ursula Von der Leyen e nemmeno Fabiola Gianotti. Ma temo che passeranno anni, se non decenni, prima che il modello di successo imposto dagli ‘80 in poi, la modella o la moglie del calciatore, possano risultare meno seducenti di altri che richiedono studio, competenza, fatica. Ci vorranno tante serie tv come “L’amica geniale” o anche “La regina degli scacchi”. E tanti percorsi nuovi che influencer intelligenti come Chiara Ferragni hanno intrapreso, captando forse che la stagione dei soldi facili, perché milioni di bambine ti seguono e seguono i tuoi consigli per gli acquisti, forse è al tramonto. Forse. Per il momento, bisogna tenere d’occhio personaggi come Michelle Obama e, chissà, Kamala Harris. Le uniche che spruzzando calore e che sono riuscite per ora a forare lo scafandro di diffidenza e indifferenza che avvolge le quindicenni non ancora prime della classe. È a loro che bisogna parlare. Perché tra loro ci saranno le Ursula, le Kamala e le Angela di domani.

Recovery, l’economista Azzurra Rinaldi: «Poche risorse sul lavoro femminile»

L'economista Arruzza Rinaldi: «Poche risorse sul lavoro femminile»
L'economista Arruzza Rinaldi: «Poche risorse sul lavoro femminile»

Professoressa Azzurra Rinaldi, economista dell’Università Unitelma Sapienza, tra le ideatrici del movimento “Il Giusto Mezzo”, c’è speranza che dal cilindro del Recovery Fund spunti un potenziamento del ruolo delle donne nel mondo del lavoro?

«Già sappiamo che i fondi europei così come sono adesso, sono iniqui per quanto riguarda le opportunità offerte alle donne».

Un peccato, visto il momento storico unico e la possibilità di usufruire dei finanziamenti.

«Sì, tantissimi: in arrivo 127 miliardi sotto forma di prestito e 82 miliardi a fondo perduto. Abbiamo fatto una valutazione di impatto di genere su questi fondi, su input dell’eurodeputata Alexandra Geese, verificando quanta parte andasse a beneficio della forza lavoro femminile».

Cosa è emerso?

«I soldi sono destinati a settori in cui sono occupati per lo più gli uomini, come infrastrutture, trasporti. Quando i campi colpiti da questa crisi attengono ai settori relazionali, turismo, commercio, servizi, dove ci sono più donne».

Perché, secondo lei?

«Un’antica miopia. Ma questa non è una crisi finanziaria normale, ma una crisi economica che nasce da una pandemia mai affrontata. La commissione europea sta mettendo in campo delle misure tradizionali per una crisi nuova e sconosciuta».

Pessimista dunque sul cambio di passo riservato alle donne?

«Se le cose rimangono così, abbiamo la certezza che le donne pagheranno il prezzo più alto. E questo avviene in un paese dove il 30% delle lavoratrici lascia il lavoro dopo il primo figlio per mancanza di servizi e l’80% dei congedi parentali è preso dalle donne. Queste persone che escono dal mercato del lavoro o si mettono in part time (il 75% del totale) intorno ai 30/35 anni, una volta che i figli sono cresciuti non possono rientrare nel mondo del lavoro. E le pensioni degli uomini sono il 36% più alte».

Sul primo piano presentato il 19 ottobre alla Commissione europea avete potuto agire?

«Si è cercato di suggerire al governo di elaborare un piano seguendo le due linee previste dalla Commissione europea, transizione digitale e transizione verde, aggiungendo la linea dell’economia della cura. La sola via di salvezza, con i dati che abbiamo e sapendo che oramai l’Istat ci definisce nell’inverno demografico. Abbiamo tanti anziani da accudire e pochi figli. Ma se il Paese non fa figli muore. Per spingere le famiglie a fare figli e contemporaneamente ad accudire gli anziani c’è bisogno di uno Stato sociale: servizi, come asili nido, tempo pieno a scuola e anche per gli anziani. Altrimenti questi servizi sono coperti dalle donne della famiglia».

Da qui il suggerimento “la linea della cura”.

«Le italiane si fanno carico del lavoro di cura non retribuito, con una serie di effetti negativi sull’efficienza complessiva del sistema economico italiano. Perché una persona che potrebbe lavorare e produrre ricchezza, Pil, non lo fa. Perché parte di questo Pil andrebbe allo Stato sotto forma di gettito fiscale. Per banalizzare, perché tutti saremmo più ricchi. Da qui l’indicazione di aggiungere questo terzo pilastro dell’economia della cura. Il governo nel piano parla genericamente di interventi sociali».

E le misure nazionali?

«La legge di bilancio, ma per le donne non c’è moltissimo. Un assegno unico per i figli, che poi sarebbero delle famiglie, fino a 200 euro al mese fino ai 18 anni, il bonus bebè per il primo anno di vita. E 400 milioni in sgravi fiscali per le imprese che nei prossimi 2 anni assumono donne, altri 40 milioni, poco, per l’imprenditoria femminile. Si può fare di più. Mai come ora c’è consapevolezza del peso produttivo delle donne nelle aziende e di quanto perdiamo in termini di efficienza economica con la diseguaglianza di genere».

Un cambio di passo, investire nell’attività di cura.

«Occorre una valutazione di impatto di genere su tutte le voci di spesa che prevedano soldi pubblici in Italia, ora obbligatoria ex ante ma non ex post. Con il Giusto mezzo abbiamo mandato una lettera al presidente del consiglio in cui si chiede che i fondi vengano usati anche in una prospettiva di genere. Abbiamo raccolto finora 46mila firme». Il contatto con il Governo è avviato. «Stiamo analizzando tutte le misure della legge di bilancio, non siamo contente, se il piano nazionale italiano non viene declinato a favore della forza lavoro femminile sappiamo già che a pagare il prezzo della crisi saranno le donne».

Sei donne per 100 miliardi: la sfida delle ministre che gestiranno la metà del Recovery Fund

Sei donne per 100 miliardi: la sfida delle ministre che gestiranno la metà del Recovery Fund
Sei donne per 100 miliardi: la sfida delle ministre che gestiranno la metà del Recovery Fund

L’ambizione va ben oltre, anche per via dei progetti “trasversali” ai diversi dicasteri. Ma almeno metà, circa 100 miliardi, del tesoretto del Recovery Fund da 209 miliardi destinato all’Italia sarà gestito da loro, da sei ministre del governo Conte. Perché è proprio qui, tra l’ampio capitolo Infrastrutture di Paola De Micheli, la leva lavoro in mano a Nunzia Catalfo legata a doppio filo alla strategia sulle Pari Opportunità di Elena Bonetti, tra le politiche agricole di Teresa Bellanova e il capitolo Innovazione di Paola Pisano, che si incrocia molto con il futuro della pubblica amministrazione disegnato da Fabiana Dadone, che si costruirà un pezzo della ripresa del Paese. L’obiettivo comune non è presentare un libro dei sogni, ma spingere il bottone capace davvero di cambiare strutturalmente gli ingranaggi cruciali che producono il Pil del Paese e per colmare il gap con il Sud. Un traguardo tutt’altro che scontato. Intanto un pezzo dei progetti che contano a cavallo del Recovery Fund è già finito nella Legge di Bilancio. Il resto sarà accelerato nel 2021, appena arriveranno le risorse Ue. Il grosso del pacchetto spetta a De Micheli, alla ministra “delle Opere”. Sono sei le aree di intervento in questo campo: opere ferroviarie e Alta velocità; riduzione del gap infrastrutturale della mobilità locale; green port e logistica sostenibile; piano di resilienza delle strade regionali e degli enti locali; piano nazionale per la qualità dell’abitare; e modernizzazione dei collegamenti stradali e autostradali immediatamente cantierabili per la mobilità e la connessione veloce del Paese. Tutto per «lasciare ai nostri figli un Paese più equo e sostenibile», sostiene la ministra. Si tratta di «fare una grande battaglia alle disuguaglianze infrastrutturali», quella tra Nord e Sud e quella tra Est e Ovest. Un piano di “rammendo”, come lo ha definito Renzo Piano. Le risorse in campo? Il Mit ha già consegnato ai ministeri dell’Economia e degli Affari europei il cronoprogramma di tutti i cantieri per quali ha chiesto il finanziamento. Ma quanto sarà davvero attinto dal Recovery resta un’incognita, almeno fino a quando il governo non avrà definito il Budgetary Plan da inviare a Bruxelles. Si può dire però che tra Recovery e altri fondi Ue, il Mit è pronto a far aprire cantieri nei prossimi 3 anni per 65 miliardi: naturalmente si tratta di progetti trasversali a tutte le missioni mentre alcuni cantieri tra quelli individuati sono di fatto già aperti.

NON SOLO OPERE

Ma poiché puntellare l’occupazione anche oltre le opere sarà un’altra tappa obbligata, tocca a Catalfo riattivare la leva del lavoro, già fragile, e ora più che mai minacciata dalla pandemia. L’obiettivo è destinare a questa voce almeno 16,5 miliardi. E la missione punta dritto soprattutto alle donne e ai giovani. Per «investire nel futuro», «ridare ossigeno al Paese», e renderlo «più forte e innovativo», dice la ministra. Quattro le direttrici inserite nel Piano Nazionale di Resilienza e Ripresa. Il fronte nuove competenze e formazione dei lavoratori (un dossier da 5 miliardi) prevede l’adozione di un Piano nazionale per sostenere le transizioni occupazionali. Di qui la leva dei Centri provinciali per l’istruzione degli adulti (CPIA), dei Centri di formazione professionale (CFP), degli istituti tecnici superiori (ITS), delle università, e degli enti di formazione e fondi interprofessionali. L’idea è di realizzare un sistema permanente per lo sviluppo delle competenze con accordi fra CPIA, Centri per l’impiego, enti istituzionali e Comuni rivolti a tutti i disoccupati. Altri 7 miliardi saranno investiti nel Progetto giovani, tra decontribuzione per le assunzioni, rilancio delle politiche attive a sostegno delle transizioni occupazionali, rafforzamento dei Cpi, interoperabilità delle banche dati e, infine, contrasto al sommerso e spinta a salute e sicurezza.

Il terzo capitolo tocca l’inclusione sociale (oltre 2 miliardi) e il rafforzamento dell’assistenza domiciliare. Alla parità di genere sono invece destinati 2,4 miliardi all’interno del Cluster Empowerment femminile in comune con “casa” Bonetti. «Dobbiamo impedire il ripetersi del fenomeno che nel 2019 ha visto 37.611 lavoratrici madri lasciare il lavoro anche a causa dell’impossibilità di armonizzare occupazione e cura dei figli», dice Catalfo. Otto, invece, i progetti su tavolo delle Pari opportunità, in parte già avviati nella legge di Bilancio: dal fondo imprese femminili e valorizzazione donne nell’impresa (con particolare riguardo ai rientri dalla maternità e all’acquisizione di competenze Stem) all’introduzione di un sistema di certificazione sulla parità di genere, dall’inserimento delle vittime di violenza sul lavoro agli strumenti di decontribuzione per incentivare il lavoro femminile. Fino ad arrivare alla spinta della cultura digitale per l’inclusione qualificata delle donne, al piano nidi d’infanzia e al family act. Infine c’è il tema, trasversale a tutti i progetti, della valutazione di impatto sulla parità di genere di tutte le azioni del Pnrr. Passando al capitolo digitale, il 20% del Next Generation Eu sarà destinato proprio a questa voce (fino a 40 miliardi). E dunque, in prima linea per utilizzare questo budget ci sarà la ministra Pisano, già impegnata a rispettare la scadenza Ue di febbraio 2021 per l’utilizzo a tappeto nella Pubblica amministrazione di Spid, della Carta di identità elettronica e di PagoPa. Sei le sfide: interoperabilità dei dati, infrastrutture, piattaforme e servizi, sicurezza, competenze digitali e innovazione tecnologica. Anche in questo caso è inevitabile che i tavoli si incrocino con quelli della Pa in mano alla ministra Dadone, come l’obiettivo di lanciare un cloud nazionale per la Pa interconnessa. Anche la titolare del capitolo Innovazione punta tutto (tra 15 e 16 miliardi) su digitalizzazione, formazione e lancio dei Poli territoriali avanzati, spazi di coworking per accogliere i concorsi, garantire spazi di lavoro comune per i dipendenti pubblici, ma anche per la formazione e il lavoro agile. Sarà un’occasione per sfruttare gli immobili inutilizzati del Demanio o confiscati alla mafia. La legge di Bilancio ne prevede uno ogni Regione. Ma grazie al Recovery, ne potrà avere almeno uno per ogni capoluogo di provincia. Infine, c’è il capitolo Politiche Agricole: circa 10 miliardi in gioco, senza contare gli effetti di misure trasversali che arrivano da altri settori. Il “cuore verde” del Recovery a cui tiene molto Bellanova dovrà puntare sulla competitività del settore alimentare, su infrastrutture e logistica per lo sviluppo dell’export delle piccole e medie aziende, sulla meccanizzazione del settore (a partire dall’agricoltura di precisione e dall’ammodernamento di settori come quello dell’olio d’oliva). Lo sviluppo del biometano e la realizzazione di un parco agrisolare sui tetti degli edifici della produzione agricola sarà il centro della strategia sulle energie rinnovabili. Infine c’è la prevenzione relativamente ai fenomeni di dissesto idrogeologico e la gestione forestale sostenibile. Il focus è sullo sviluppo di una filiera foresta-legno-energia, non solo in omaggio alla forte corrente ambientale che ormai domina ogni attività.

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